Home Storia e Storie I nipoti della Marianna. Storia di un borgo

I nipoti della Marianna. Storia di un borgo

La Storia si nasconde ovunque. Anche in una semplice, tradizionale trattoria romagnola. Raccontandone la nascita e la vita, infatti, è possibile conoscere i volti delle persone che la frequentavano, e dalle loro vicende può emergere lo spaccato di un’epoca. La storia di una trattoria che diventa la storia di un borgo e di un’intera città. La trattoria in questione è La Marianna, un luogo secolare (letteralmente: fu fondata nel 1913, e allieta i palati dei riminesi ancora oggi) situato, da sempre, nel Borgo San Giuliano.

Roberto Balducci, classe 1950, nasce e cresce in questo borgo riminese. Non solo. Vive quotidianamente la realtà de ‘La Marianna’, perché è il nipote dei fondatori: i nonni materni Guglielmo Morri e Marianna Domeniconi. Una vita a contatto con la trattoria, che Balducci (‘il piccolo Roby’, oggi medico in pensione) ha deciso di raccontare attraverso un libro: J Anvùd dla Marianna – Una vetrina sul Borgo San Giuliano (Panozzo Editore, 2018).

Un mosaico di racconti che presentano la trattoria La Marianna come un luogo che non è solo di ristoro, ma di aggregazione, un crocevia di storie e personaggi che ne costituivano la grande famiglia allargata e che, grazie al libro di Balducci, potranno rimanere nella memoria. E che presentiamo in alcuni estratti del libro, riportati di seguito.

Inverno anni Cinquanta, “la gente” della Marianna

“Il piovoso mese di novembre del 1956 passò lentamente e arrivò dicembre con le sue feste di Natale. Era un periodo bellissimo e magico per i bambini della trattoria. Fuori aveva fatto qualche fiocco di neve, nelle viuzze e nelle piazzette regnava il gelo. Dalle vecchie e malandate grondaie di lamiera spuntavano i primi acuminati candelotti di ghiaccio. Non c’era tanta gente in giro, nemmeno in città. […]
Non c’era molto lavoro in giro, gli uomini cercavano rifugio dal freddo e dalle intemperie nei vari bar, o meglio, ‘caffè della città’, dove le stufe a legna o a carbone intiepidivano l’aria e appannavano i vetri. Molti sfaccendati si affollavano nelle Poste centrali che allora erano nell’attuale Palazzo del Podestà, in piazza Cavour e, forse, speravano che cominciasse a nevicare molto per poter essere assunti dal Comune per ‘sbadilare’ la neve. Era una delle poche occasioni per poter rimediare qualche soldo da portare a casa in quella stagione. […]

Il Natale, nei primi anni Cinquanta del secolo scorso, in quella povera geografia che era il borgo, dalla contrada del fiume, via Marecchia, alla via Chiavica, da via Forzieri a via Padella e agli altri vicoli e piazzette, non era molto diverso dai Natali di prima della guerra e di inizio secolo. Poca luce nelle strade, poca legna nelle case. Molti disoccupati, poco cibo e poco vestiario nelle famiglie. I giocattoli e i dolciumi erano merce rara, spesso arrivavano con la ‘Befana del Comune’ o di qualche altro ente benemerito che, durante le festività, organizzava incontri festosi in piazza Cavour, dove si smistavano pacchi e calze di doni per i più bisognosi. […]
Un momento culinario molto gradito ed atteso per i bambini del borgo era il 6 gennaio, giorno della Befana, in cui Pinein organizzava per loro una festa speciale nella salettina del televisore, nella Trattoria Marianna. Invitava i bambini che meno avevano, rispetto ad altri; per loro, l’Aldina e la Cornelia preparavano lasagne, pollo e coniglio, panettone e torrone. Ed era bello vedere come, con poco, si illuminassero con bellissimi sorrisi i loro visi e udire le mai ripagate risate infantili. […]

La trattoria, passata la guerra, iniziava a veleggiare, grazie agli sforzi e al duro lavorodi tutta la famiglia, allora ancora molto unita. Dopo che morì nonna Caterina e che Seconda si trasferì definitivamente a Roma, spesso Roby e i cugini venivano accuditi da cugine di mamma o da avventori abituali della trattoria, divenuti membri di una famiglia allargata, o addirittura accompagnati a letto da giovani e fidate cameriere. La Laurina era una di queste. Era una bella ragazza mora, aveva lavorato come commessa in un prestigioso negozio del centro. Si era messa anche in proprio, con una socia, a gestirne uno. Poi, per un certo periodo, venne a fare la cameriera alla ‘Marianna’. […] Oltre alla Laurina, in quei primi anni cinquanta, in sala lavoravano come cameriere la Prima, che poi sposerà Gasperino, il figlio maggiore di Damo il tabaccaio; poi la Tilde; spesso aiutava anche la Fanny, cugina dell’Aldina e della Cornelia.

In cucina, al lavaggio dei piatti, dei tegami e delle posate era addetta la vecchia Guglielma Ricciotti, più efficiente di una moderna lavastoviglie a ciclo continuo. Era una donna instancabile, stava ferma in piedi per ore e ore con le mani sempre in ammollo nell’acqua e nei detersivi, d’estate e d’inverno, giorno e sera. Durante le pause aiutava a pulire il pesce e ad infilare gamberetti e calamari negli spiedini. Aveva il terrore dei topi, i surz, assai frequenti allora nelle case e, soprattutto, nelle cantine.

Appena ne vedeva uno, incominciava ad urlare e a scappare in tutte le direzioni, in preda al panico più incredibile. I bambini della trattoria, ma pure qualche cameriere più burlone, si divertivano a spaventarla lanciandole tra i piedi finti topi fatti con stracci o coprimacchie sporchi. Ai fornelli, oltre all’Aldina e alla Cornelia che si divideva con la sala, c’erano la Pina Tiraferri, la Rina che friggeva e Bisigna alle graticole, sotto la cappa del camino. Bisigna, in realtà si chiamava Giuseppe Raimondi, era un cugino di primo grado della Marianna, figlio di un fratello di sua mamma Assunta. Era sempre stato un personaggio bizzarro e imprevedibile. Anticonformista, amava far scherzi di continuo, che spesso degeneravano in dispetti fanciulleschi nonostante l’età. Da giovane faceva il falegname, o meglio, costruiva casse da morto, esponendole nel suo piccolo laboratorio: qualche volta ci si addormentava dentro spaventando chi passava in strada, davanti alla vetrina. […] Sempre in cucina era poi arrivata da Verucchio una ragazzina di appena quindici, sedici anni, la Lucia Pazzini, figlia della Puccia che più tardi si stabilì col resto della famiglia nel borgo San Giuliano. Con Lucia arrivò nel borgo anche il fratello più piccolo, Giovannino, ragazzo svelto e simpatico che, negli anni a seguire, si sposò con una ragazza borghigiana, la Rosy, diventando noto come Gnoli, un vero personaggio del borgo, degno erede delle precedenti generazioni. Lucia era una ragazzina sveglia e molto portata per il ristorante, molto dotata in cucina. Amava, però, fare frequenti incursioni in sala dove poteva sfogare meglio la sua gioventù. Apprese da Aldina e Cornelia tutti i segreti della loro cucina, rielaborandoli poi in maniera originale nella sua personale gestione della trattoria, vent’anni dopo. […]

Tanti anni sono passati da queste vicende. Il borgo è sempre vivo e vivace. Molte famiglie sono scomparse con le loro storie, ci sono nuove storie di altre persone che del borgo si sono innamorate e qui hanno voluto vivere.

La Trattoria Marianna è ancora attiva, ancora vive lì parte della famiglia della Marianna. Il ragazzo del borgo degli anni Cinquanta, è cresciuto e si è invecchiato. Il borgo è stato adottato dalla città, è diventato città. Tutti i riminesi si sentono un po’ borghigiani”.