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Nel Convento di Santa Chiara

San Marino e il Convento di Santa Chiara. Una coppia che fa risalire le sue origini alla prima metà del Cinquecento, passando per l’importante tappa datata1609, quando l’edificio venne ufficialmente inaugurato consegnato alle Clarisse.
Da quel momento sino agli anni ’70 del secolo scorso, quando la struttura venne abbandonata dalle suore, quel luogo è diventato protagonista della vita, della cultura e della storia della Repubblica del Titano e della sua popolazione.
Un edificio che divenne proprietà della Repubblica solo dal 1968, quando venne destinato ad attività culturali, accademiche e scientifiche.
A sottolinearne l’importanza un volume pubblicato sotto l’Alto patrocinio degli Eccellentissimi Capitani Reggenti della Repubblica di San Marino, Il convento di Santa Chiara. Quattro secoli della realtà sociale economica e culturale della Repubblica di San Marino, AIEP editore.

A 400 anni dalla fondazione
Il testo raccoglie i contributi di più studiosi e intellettuali ed è suddiviso in tre parti tematiche: in una prima si realizza un breve excursus storico del periodo nel quale si colloca la costruzione del complesso monastico; cui segue un corpus di documenti originali che ricostruiscono la storia delle origini dello stesso convento.
In una seconda parte del volume ci si dedica allo spazio fisico nel quale è immerso l’edificio e di conseguenza anche alla vita che vi si conduceva. Si tratta, in parte, di studi fotografici pionieristici, datati nel periodo a cavallo tra la fine del XIX e gli inizi del XX secolo. È una corposa collezione di foto che riporta dal passato fermoimmagini di momenti di un’umanità vissuta da dietro le grate, dentro le mura del monastero, con una carrellata di immagini che arrivano dai più vicini anni ’70 quando l’edificio vene abbandonato. Si legge nella presentazione, a firma di di Leo Marino Morganti: “Un abbandono (quello del monastero, ndr) documentato da fotografie protese a descrivere l’oggetto architettonico, il suo legame con il paese, la vita appena trascorsa in esso, e quindi, ancora presente nella memoria trasmessa dagli oggetti del lavoro e del riposo che gradualmente si perdono nell’ultimo ricordo”.
Una terza parte è dedicata al riutilizzo dell’edificio. Si legge, ancora: “Si tratta di una miscellanea utile a fare comprendere come i sammarinesi continuarono e continuano ad amare un’intuizione ed un’architettura di cotanto pregio, significato ed importanza, parte del loro patrimonio storico culturale più autentico”.

Il quadro politico
La ricostruzione del quadro politico di San Marino nelle vicende che interessano il monastero è affidata a Debora Fabbri che dopo avere spiegato alcuni avvicendamenti atti a minare la sopravvivenza dell’autonomia sammarinese, scrive: “Il ’500 segna per San Marino l’età della massima espansione nel paese del potere ecclesiastico. In piena età controriformistica, si assiste ad un forte incremento del clero secolare che portò alla diffusione degli ordini monastici. Così al convento di Santa Chiara dei servi di Valdragone, presente a San Marino dalla seconda metà del Quattrocento, al monastero di san Francesco e al convento dei Cappuccini, si affiancò un monastero femminile, al quale venne assegnata la regola di Santa Chiara. La decisione di costruire un monastero a San Marino vicino alla porta della Rupe per mettervi le fanciulle era stata presa nel 1565 grazie ai consigli di Costantino Bonelli, sammarinese, vescovo di Città di Castello (…). Il rapido diffondersi dell’uso delle monacazioni può essere frutto di (…) motivazioni di carattere economico legate a strategie patrimoniali familiari, vale a dire non frantumare i patrimoni tra i maschi e risparmiare sulle doti monacando le femmine”.
Per spiegare meglio questa pratica diffusa la Fabbri cita Istituzioni ecclesiastiche e pratica religiosa: la presenza delle Clarisse a San Marino di Ivo Biagianti (contenuta in Momenti e temi di storia sammarinese, di autori vari): «La dote monastica è mediamente inferiore di quella assegnata alle donne da marito dello stesso rango, per cui la monacazione costituisce risparmio nella gestione delle risorse familiari e consente di sistemare più adeguatamente dal lato patrimoniale e sociale i fratelli e le sorelle della monaca, che in questo senso si sacrifica per amore della famiglia, con la consapevolezza di meritarne riconoscenza e gratitudine».

La costruzione del monastero
Ci vorrà un quarantennio per costruire il monastero, 1569-1609, un periodo relativamente lungo dettato dalla mancanza di fondi, che nella maggior parte dei casi arrivavano dalle offerte della popolazione. Tutta un’altra serie di problematiche si legarono per esempio alla conformazione del sito, lo strapiombo del monte in un terreno impervio.
“Tuttavia – continua la Fabbri – il risultato è un suggestivo complesso edilizio la cui importanza anche culturale per la realtà locale è altresì riferibile alla creazione, circa cinquanta anni dopo la fondazione del monastero, dell’educandato, in grado di insegnare alle fanciulle vari lavori femminili (taglio, cucito e ricamo) e dare un’adeguata istruzione scolastica alle ragazze senza l’obbligo di indossare l’abito monastico, e questo anche a vantaggio delle famiglie meno facoltose”.

La storia di Vincenza
Come accennato, molti furono i problemi di ordine economico che rallentarono i lavori al convento. Poi intervenne un fattore esterno e le cose cambiarono. A spiegarci il punto di svolta è Ivo Biagianti che nel capitolo Alle origini del convento scrive: “La conclusione dell’opera fu a lungo ritardata per l’insufficienza di mezzi finanziari, fino a quando la provvidenza mandò in soccorso dell’impresa una circostanza straordinaria per il suo completamento: una fanciulla sammarinese di dodici anni, Vincenza Lunardini (Leonardini) da Longiano, rimasta orfana di entrambi i genitori nel 1601 e unica erede di una ricca famiglia del luogo, divenne oggetto di ambizioni matrimoniali e di inganni fra due contendenti, in uno scenario tipicamente manzoniano, al quale il vescovo di Rimini oppose «proprio ed opportuno rimedio», facendola rinchiudere nel monastero delle Clarisse di Rimini. Lo zio della fanciulla cercò allora di «persuadere la giovane a escludere e l’uno e l’altro partito, e a monacarsi, e così si orientò a volersi chiudere nel monastero di questa terra di San Marino, applicandovi tutta la sua robba, e così (…) sarebbe lei potissima causa che il detto monastero si perfezionasse, ed avesse il patrimonio per potervi intromettere le suore» (cit. La fondazione del monastero di Santa Chiara della Repubblica di San Marino, ndr)”.
Vincenza poteva vantare un patrimonio di 3500 scudi, ancor prima che intorno a sé scoppiasse il pandemonio aveva già espresso volontà di farsi monaca e di entrare nel convento di San Marino al quale avrebbe dato la sua “dote” per ultimare i lavori. Ma il suo patrimonio faceva gola non solo agli uomini. “Così – continua Biagianti – il vicario del vescovo di Rimini cercò di convincere la fanciulla a monacarsi nel convento riminese”. Il vescovo di Rimini cercò di portare al suo convento la giovane contrapponendo alla comoda e ricca città di Rimini la povera, scomoda e sassosa San Marino. A risolvere la querelle dovette intervenire il Duca di Urbino, così Vincenza nel 1605 entra a San Marino.

Le prime novizie
Nella diocesi del Montefeltro non c’erano altri monasteri di Clarisse, oltre a quello di Macerata, così per il nuovo convento si rese necessario fare arrivare le religiose da altri conventi. Arrivarono nella Repubblica e da zero impiantarono la vita conventuale secondo la regola di Santa Chiara. Provenivano da Rimini, da Cesena, da Cagli e da Castel Durante. Proprio da Castel Durante arrivò la prima Badessa. Dodici le prime novizie, compresa Vincenza che diventa suor Innocenza. Comincia così la storia di una clausura che durerà più di tre secoli e mezzo.
Conclude l’autore: “L’ingresso nel monastero era legato alla disponibilità dei posti che si liberavano o per il decesso di qualche suora, o per qualche soprannumero e, in seguito, per l’aumento dei posti assegnati dalla Sacra Congregazione. L’andamento delle vestizioni nel primo secolo ebbe una frequenza media di una nuova suora quasi ogni anno e mezzo, e portò gradualmente al raddoppio del numero previsto inizialmente. Negli anni successivi la principale benefattrice, entrata nel convento come novizia fin dal giorno della fondazione, dopo essere stata quattro anni in attesa nel monastero di Macerata Feltria, per la sua posizione economicamente dominante fra le sorelle, ne fu abbadessa sette volte consecutive, per la durata di 21 anni, morendovi ultrasettantenne il 17 marzo 1665”.
Il monastero è arrivato sino ai giorni nostri. Come accennato in precedenza nel 1968 passò nelle mani della Repubblica di San Marino che lo utilizza come spazio per attività accademiche, scientifiche e culturali.

Angela De Rubeis