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Mamme e bimbi: dal carcere alla vita

Accogliere subito tutte le mamme con bambini (spesso molto piccoli, anche neonati) detenute sul territorio nazionale (in totale nelle carceri italiane in questo momento se ne contano 53). E se necessario, per garantire la massima sicurezza alla detenzione di tipo extra-carcerario, utilizzando il bracialetto elettronico.
La proposta dell’associazione Papa Giovanni XXIII parte da Rimini e ha già fatto il giro d’Italia, arrivando a Roma sul tavolo dell’amministrazione penitenziaria. “Siamo immediatamente disponibili ad accogliere presso le nostre case famiglia le detenute con bambini”. Che l’idea non sia una boutade ma una reale, concreta alternativa, se n’è accorto anche il capo dell’amministrazione penitenziaria, il presidente Franco Ionta, che di recente ha fatto visita alla “Casa Madre del Perdono” di Montecolombo, la struttura della Papa Giovanni XXIII che accoglie detenuti ed ex detenuti. All’incontro era presente anche il direttore del carcere di Rimini, la dottoressa Maria Benassi. In precedenza i vertici dell’associazione fondata da don Oreste Benzi avevano avuto un vertice con il presidente Ionta a Roma, l’occasione per presentare il modello “CEC – Comunità Educante Con i Carcerati”, progetto preso in considerazione anche dalla Commissione e dal Parlamento Europeo. “Il presidente Ionta ha preso visione del progetto e ha dichiarato la sua disponibilità a valutarlo come progetto pilota come risposta al problema del sovraffollamento – spiega il responsabile della casa di Montecolombo, Giorgio Pieri – siamo disponibili da subito ad accogliere in casa famiglia tutte le mamme con bambini detenute su tutto il territorio nazionale”.
Attualmente sono circa 240 i detenuti ed ex detenuti accolti nelle strutture dell’Associazione ubicate su tutto il territorio nazionale. La casa “Madre del Perdono” di Montecolombo ospita circa 15 detenuti, a cui si aggiungono altre 17 persone accolte presso la casa “Madre della Riconciliazione” aperta appena due mesi fa. Altri 10 detenuti si trovano sparsi nelle case famiglia. In totale, nelle strutture riminesi della Papa Giovanni vengono ospitati oltre 40 detenuti con un risparmio per lo Stato di oltre 8mila euro al giorno, circa 3 milioni l’anno. Se il modello proposto fosse applicato a 10.000 detenuti, l’Italia potrebbe risparmiare diversi milioni di euro ogni giorno. E aprire la porta alla speranza di un reinserimento sociale. Infatti, solo il 10% di coloro che portano a termine il programma di recupero dell’associazione torna a delinquere, a fronte ad una media nazionale del 70%. Se accompagnati in un percorso di ritorno alla vita molti uomini e donne non delinquono più. La Papa Giovanni opera nel mondo carcerario sin dai primi anni ’90 e ora con il progetto CEC cerca soluzioni nuove per affrontare il reintegro.
“Il carcerato è solo apparentemente il diretto interessato – spiega Pieri – ma tutta la comunità locale, attraverso i volontari, si educa alla solidarietà e ai valori di una nuova umanità. Un uomo recuperato non è più pericoloso, mentre la giustizia vendicativa produce persone che scelgono spesso la via delinquenziale. La società può e deve coinvolgersi nel recupero dell’uomo che sbaglia. Il CEC è un’alternativa concreta all’attuale sistema carcerario, costoso, inumano e a volte inefficiente”.
Nel 2011 quattro detenuti hanno scelto di tornare in carcere poiché in comunità la vita è dura. In comunità si espia la pena e soprattutto si passa come diceva don Oreste, “dalla certezza della pena alla certezza del recupero”.

Luca Pizzagalli/Paolo Guiducci