Malati psichici: stop all’indifferenza

    Dopo dieci anni di iter legislativo, il 13 maggio del 1978, Franco Basaglia medico psichiatra, vince la sua lotta per la chiusura dei manicomi, e vede approvata la legge 180 che verrà ricordata con il suo nome.
    La Legge Basaglia, istituisce i Servizi di Igiene Mentale pubblici e cerca di trasformare totalmente l’impatto con il malato di mente, cancellando la barbarie dei manicomi, tentando di restituire il sentimento della dignità ai malati, di considerare le loro vite degne di essere vissute, frantumando il sistema della contenzione.
    La maggior parte dei manicomi chiudono intorno al 1994. Solo in Campania si andrà per tempi più lunghi fino al 2 luglio del 1998.
    Da allora, si avviarono una serie di cambiamenti, che cominciarono a restituire possibilità. Ad esempio di restare cittadini, ed essere titolari dei propri diritti, di avere la speranza di rimettere in sesto il corso delle proprie esistenze, perfino di guarire.
    La legge 180 non ha fatto altro che questo: il legislatore si è chiesto se anche per gli internati, i malati mentali, dovesse valere l’articolo 32 della Costituzione: “…diritto alla cura e alla salute nel rispetto della libertà e della dignità…” ed ha risposto di sì.
    Ora non è più lo Stato che costringe alla cura, che interna, che interdice per difendere l’ordine e la morale e il malato non è più considerato “pericoloso per sé e per gli altri e di pubblico scandalo”, ma solo una persona che necessita di cure.
    A partire da quegli anni i medici sono stati in grado di ascoltare i pazienti che vivono il dolore della mente, in quanto persone e non diagnosi, malattie, oggetti.
    Oggi, c’è ancora chi propone che il Governo modifichi la legge 180, sopravvissuta in questi 30 anni a ben 29 proposte di cambiamento.
    Ma è con le Regioni e le Amministrazioni locali che il Governo dovrebbe intervenire, formulando standard, livelli essenziali, investendo i fondi necessari.
    Bisognerebbe evitare di racchiudere chi soffre in gabbie diagnostiche, senza senso prima ancora che senza anima, di utilizzare sempre e solo lo strumento dei farmaci, magari per sedarli se sono maniacali o per eccitarli se sono depressi. Il ricorso alla chimica, utile, a volte indispensabile, diventa però una scorciatoia brutale in assenza di una disponibilità all’ascolto e alla comprensione. Andrebbero sostenute le famiglie con personale adeguato, affiancandole nel difficile cammino di recupero delle persone care. Occorrerebbe la capacità di cogliere il senso, di quell’affondare tragico, nella stagione della follia, nella notte dell’enigma.

    Cinzia Sartini