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Mai dire master

Gli inglesi usano lo stesso termine plan, per parlare del disegno superiore che sovraintende le nostre esistenze, il masterplan legato alla provvidenza o al destino a seconda delle convinzioni di ognuno, così come per parlare di un piano imprenditoriale, il business plan, ovvero la pianificazione di attività, impegno finanziario e fatturato di un’azienda. Ordunque, l’ultima volta che ho messo 10 euro di benzina nello scooter, il benzinaio terminata l’operazione ha guardato nel buco del serbatoio e, sconsolato, ha mormorato con aria sommessa: “Guardi laggiù, non si vede neanche dove arriva…”. Una excusatio non petita (noti, il lettore, come lo scrivente si muove disinvolto tra lingue nuove e antiche) per farmi sentire che in fondo anche lui come me è sottoposto allo stesso masterplan, arcano e imperscrutabile proprio come il livello della benzina laggiù nel buco. Il sottoscritto, invece, si sentiva vittima di più prosaico business plan, ovvero degli incassi che le compagnie petrolifere pretendono di conseguire sulle spalle dei cittadini. E a poco serve limitare l’uso dell’auto: per stare nel business plan, tanto aumentano i prezzi ormai senza più ritegno. Certe compagnie, per dire, stanno tenendo un ritmo di un rialzo ogni tre giorni. E allora se è solo questione di business, il master dove lo mettiamo? Beh, è abbastanza ovvio. Ormai dal benzinaio, se non si vuol rimanere a secco di contante, tocca andarci per forza con la Mastercard.