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Machiavelli, la Romagna ti assolve

Oltre cinque secoli dopo Machiavelli è “tornato” in Romagna. La circostanza però non è delle migliori per lui, perché non di visita di cortesia si tratta. Il suo pensiero politico – e le contemporanee declinazioni – è messo fortemente in discussione, e con esso tutto un impianto che equipara la politica ad un tribunale senza appello, ad una lotta senza premi di consolazione. Cinque secoli dopo, il “machiavellismo” si configura come utopia o sano realismo?
Il fascinoso interrogativo è stato affrontato nel tradizionale Processo del 10 agosto a San Mauro Pascoli. Il giorno non è casuale: è quello dell’uccisione del padre del poeta Giovanni, Ruggero. L’evento, promosso dall’associazione pubblico-privata Sammauroindustria, in diciotto edizioni ha portato alla sbarra personaggi che hanno fatto la storia della Romagna e dell’Italia (Mussolini e Mazzini, Secondo Casadei e Garibaldi) ma anche la cucina romagnola, la rivoluzione russa e le marce su Roma. Il format del Processo è di successo: studiosi e intellettuali che si confrontano su di un tema o di un personaggio, vestendo in maniera professionale ma divulgativa i panni dell’accusa e della difesa, e il pubblico che esprime il verdetto al termine della serata munito di paletta. Scientificità dell’argomentazione e spettacolarità dell’evento insomma.
Machiavelli venne in Romagna a inizio Cinquecento per conto della Repubblica Fiorentina per trattare con Cesare Borgia, figura dalla quale rimase talmente affascinato da ispirare in più occasioni la sua summa politica. Il Processo 2019 si è configurato dunque come un omaggio a 550 anni dalla nascita del grande pensatore politico, un riportare indietro le lancette della storia quando a inizio ’500 l’autore del celebre Principe, libro che l’ha consacrato tra i più grandi pensatori politici della storia, è venuto in Romagna. Ma è stata anche l’occasione per mettere in discussione proprio la grandezza del politico e la sua visione.
Il percorso di personalizzazione della politica nel corso dell’ultimo ventennio è letteralmente esploso, e non solo in Italia. Il ruolo del leader interprete delle masse e che ne cavalca gli umori, l’uso spregiudicato del potere: sono tutti temi di prepotente attualità e in qualche modo figli di un “Principe”. Affondano le radici nel pensiero politico di “Machiavelli, il primo a percepire la politica moderna come crisi, conflitto, distruzione e creazione di ordinamenti. – è la sintesi dell’arringa l’accusatore Carlo Galli, politologo dell’Università di Bologna ed esperto di storia del pensiero politico moderno e contemporaneo – Per lui la politica è la dimensione nella quale tutti problemi umani e tutte le contraddizioni alla fine si manifestano con urgenza non differibile: dove tutti i nodi vengono al pettine e chiedono di essere decifrati e decisi”. Galli è convinto della novità rappresentata dal pensiero politico di Machiavelli ma anche le palesi qualità rischiano di deragliare nel confronto con la realtà. “La sua audacia, la sua novità rivoluzionaria sono ammirevoli – insiste Galli – ma resta una domanda se la sua prestazione scientifica e politica non sia forse fin troppo grande, se la sua indicazione politica per l’Italia – ripresa più volte nel XX secolo – non sia fin troppo impegnativa. Più utopistica che realistica, dopo tutto”.
Di parere diametralmente opposto Maurizio Viroli. Per il difensore, dell’Università di Princeton negli Stati Uniti e Ufficiale della Repubblica Italiana per meriti culturali, occorre stabilire una volta per tutte la grandezza di Machiavelli: “Nei secoli è stato accusato di essere maestro del male, servo dei Medici, fautore della tirannide, ammiratore del paganesimo antico e spregiatore del cristianesimo, teorico del primato della forza sul diritto e dell’autonomia della politica dall’etica, assertore della potenza imperiale e della conquista. Ad un esame attento dei suoi scritti nessuna accusa regge”. Anzi. Tutte le critiche per Viroli sono “ispirate da odio ideologico, da bassezza morale o da semplice ignoranza. Più ancora dei suoi scritti, la sua vita è la prova più eloquente della sua grandezza morale e politica”.
John Milton l’avrà pure definito “figura del demonio”, ma la Romagna ha maturato comunque ben altra opinione di Machiavelli: il tribunale popolare di San Mauro Pascoli non solo ha assolto il politico, ma lo ha fatto con formula piena: 81 voti per la condanna, 600 per l’assoluzione. Verdetto senza appello che ancora una volta ha confermato l’anima “garantista” della Romagna nei tradizionali Processi del 10 agosto.
Eppure gli si possono imputare diversi capi d’accusa, ha ribadito Galli. “Machiavelli ha fatto della politica un mito esistenziale onni-coinvolgente. La politica non può essere l’unica chiave per interpretare la vita sociale”. Per lo studioso, il principale reato di Machiavelli “è un utopismo fuori dallo spazio e dal tempo: ha avuto troppa fiducia negli uomini, li ha considerati troppo virtuosi. È un rivoluzionario di una realtà disincantata”. Macchiavelli è sinonimo di personalizzazione della politica per cui: “Condannare Machiavelli è condannare la politica di oggi”.
Maurizio Viroli ha invece messo in luce le troppe insinuazioni scritte sul suo conto. Inoltre non è sostenibile la tesi che Machiavelli metta “al centro di tutto la politica, come soluzione onnicomprensiva dell’esistenza. Nel suo pensiero la dimensione della leggerezza della vita, del gioco, del sorriso, dello scherzo è molto forte. Così come è fuorviante l’accusa di utopismo, perché sa leggere la realtà come pochi”. Lo studioso ha aggiunto: “Machiavelli non solo capisce la politica ma vuole fare qualcosa di più, vuole ispirare (principi e cittadini) sui fini possibili: ispirare un redentore che possa liberare l’Italia; lottare contro la corruzione a Firenze; ispirare la rigenerazione morale di un popolo. Non è un caso che a lui si siano ispirati gli scrittori risorgimentali, così come grandi pensatori come Gobetti e Gramsci”. Il finale di Viroli è sull’attualità: “Siamo noi che abbiamo bisogno di Machiavelli se vogliamo vedere rinascere il nostro Paese”. Le 600 palette in favore dell’assoluzione sembrano andare in questa direzione.