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Lo Sprar e la burocrazia maledetta

Aboubacar (nome di fantasia), non ha ancora vent’anni. E’ arrivato in Italia due anni fa. E’ entrato nello Sprar con un permesso di soggiorno per motivi umanitari. Nei due anni in cui ha beneficiato dell’accoglienza ha studiato l’italiano, ha fatto corsi di formazione al centro Zavatta di Rimini e alcuni stage aziendali. Ha preso tutte le opportunità che gli sono state date per integrarsi e alla fine è diventato meccanico. L’estate l’ha spesa per cercare lavoro. Un’impresa non facile, ma a ottobre, grazie anche all’intervento del Fondo per il lavoro è stato assunto come tirocinante per sei mesi in un’azienda di Savignano al Rubicone.

“L’azienda cercava proprio un profilo professionale come quello di Aboubacar – racconta Sabrina, operatrice Sprar – è stato un incontro felice”.

Grazie al lavoro e all’integrazione economica del fondo per il lavoro, Aboubacar prende 850 euro al mese, cifra che gli permette di cominciare a costruirsi un po’ di autonomia. Ha affittato una stanza in un appartamento insieme ad altri tre ragazzi e ora costruisce il suo futuro.

Una storia a lieto fine? No. Perché l’iter di Aboubacar con buone probabilità si interromperà nei primi mesi del 2019 quando il suo permesso di soggiorno per motivi umanitari scadrà. Con le novità introdotte dal nuovo Decreto Sicurezza firmato Salvini non sarà più possibile rinnovare il permesso, né tantomeno convertirlo.

“Con il nuovo decreto – ci spiega Sabrina – il permesso di soggiorno per motivi umanitari non esisterà più, quindi non è possibile chiedere il rinnovo. Stiamo cercando di aiutare questi ragazzi convertendo questi permessi in permessi di lavoro subordinato, una pratica possibile”.

Una pratica che ne salva alcuni, ma non tutti. Aboubacar non rientra nei parametri. Perché?

“Per avere il permesso di lavoro subordinato il contratto deve essere almeno di un anno, e non un contratto di tirocinio come nel caso di Aboubacar. Ma nessuna azienda assume direttamente, tutte chiedono un tirocinio, è un modo per conoscere i futuri dipendenti”.

Ormai nessuno sfugge più a questa logica. Neppure i lavoratori italiani, figurarsi quelli di origine straniera.

Il problema del tipo di contratto, però, non è l’unico che ostacola il permesso di Aboubacar. Oltre a quello, serve anche il passaporto del proprio paese di origine, che, come ci racconta Sabrina, fino a poco tempo fa veniva chiesto all’ambasciata. Ma ora non funziona più così.

“Le ambasciate di alcuni paesi africani, in particolare la Guinea e la Costa d’Avorio, non rilasciano più il passaporto. Quando facciamo richiesta ci inviano un figlio che specifica che i guineani in Italia con permesso di soggiorno, per ottenere il passaporto devono tornare nel proprio paese e richiederlo”.

Una strada sicuramente complicata, ma ancora percorribile, o no? No, perché sempre secondo le nuove regole del Decreto Salvini, quando una persona con permesso di soggiorno per motivi umanitari torna nel proprio paese, il permesso decade, e la persona non ne usufruisce più.

Ed ecco che il nostro Aboubacar è finito in un incubo kafkiano di burocrazia che ti costringe a girare come una trottola finendo ogni volta in un vicolo cieco diverso. Non puoi rinnovare il permesso qui, e non puoi tornare nel tuo paese a prendere il passaporto – che ti serve per convertire il permesso – perché altrimenti perdi il permesso. Come ti muovi, fai male. Ricorda la scena delle dodici fatiche di Asterix in cui i due eroi Galli correvano da uno sportello all’altro nella vana ricerca di un lasciapassare (A 38) con cui avrebbero potuto proseguire oltre. Ogni tentativo naufragava contro il Moloch della burocrazia senza senso: una volta mancava lo sportello, una volta serviva un documento di cui nessuno aveva mai parlato, un’altra volta la persona che avrebbe dovuto fornire il servizio era fuori in pausa, etc.

Qui però è diverso. Qui non ci si perde nei dedali della pratiche e dei codicilli, qui si fronteggia un progetto studiato e calibrato a questo scopo: impedire alle persone che sono arrivare in questo paese dal sud del mondo e dai paesi che ancora ci ostiniamo a definire terzo mondo (in pratica tutti tranne pochi europei, nord americani e qualche asiatico), di potersi integrare e vivere stabilmente qui.

“La decisione di non accogliere nello Sprar (che non si chiamerà più sprar ma sistema protezione internazionale e minori o qualcosa del genere) è eminentemente politica e propagandistica – precisa Gloria Lisi, Vicesindaco di Rimini e Assessore ai servizi sociali – Si basa sull’assunto che lo Stato darà misure di accoglienza solo a chi ne ha diritto e cioè a chi scappa dalle guerre. E’ dunque fondata sull’assunto della distinzione tra migranti economici e profughi di guerra, proprio mentre negli altri Stati di Europa si sta lavorando per parlare di migranti forzati tout court e della loro accoglienza”.

La riduzione di ciò che è stato lo Sprar e l’annullamento dei permessi di soggiorno per motivi umanitari creerà tanti Aboubacar. Secondo quanto ci dice Sabrina, sono tanti i ragazzi arrivati dall’Africa occidentale: gambiani, ivoriani, guineiani si troveranno tutti nella stessa situazione in cui è incappato il protagonista di questa storia: senza la possibilità di proseguire il loro iter di integrazione in Italia e con il rischio, una volta tornati nel loro paese per sbrigare le pratiche per ottenere passaporto e nuovo permesso, di non poter più tornare in Italia.

“Lo Sprar – continua Gloria Lisi – è stato ed è un modello che funziona sia dal lato del beneficiario per gli strumenti di integrazione e per il personale adeguatamente formato, che dal lato della trasparenza (con lo Sprar non si guadagna, nessun ente gestore ha la possibilità di guadagno perché è tutto da rendicontare)”.

Il problema non è di poco conto perché la protezione umanitaria rappresentava il 70% dei permessi di chi arrivava in Italia.

“Quando scadranno tutti questi permessi non rinnovabili e difficilmente convertibili – continua Gloria – avremo centinaia di persone in regione che non avranno alcun titolo e dunque non sapremo, non avendoli iscritti dove saranno e chi saranno. Se staranno male potranno rivolgersi solo al pronto soccorso, o agli ambulatori delle associazioni. Non potranno affittare una casa né potranno lavorare regolarmente”.

E questo “solo” per limitarci ai problemi legati al lavoro e alla residenza, ma ci sono altri aspetti della questione che difficilmente potranno essere controllati.

Continua Gloria Lisi: “E i vulnerabili? Tutto il disagio mentale? Le vulnerabilità? Sono stati investiti molte risorse FAMI per progetti sul disagio mentale ci stavamo attrezzando grazie al FAMI Start ER per esempio , a trovare le modalità per affrontare questo diffusissimo problema. Attraverso la rete sprar c’era un supporto, un confronto costante, stiamo perdendo un modello che funzionava benissimo. Le vittime di tratta? tutte respinte perché per far riconoscere alle donne di essere vittime di tratta ci vuole tempo e questo non coincide con i tempi della richiesta asilo e nella maggior parte dei casi avevamo donne con il permesso umanitario sulle quali si poteva lavorare, ora non più: saranno riconsegnate ai loro sfruttatori”.

Dal lato rifugiato il futuro non è dei più rosei, ma anche per quanto riguarda le comunità le modifiche allo Sprar potrebbero avere un impatto non indifferente, come sottolinea l’assessore Lisi:

“Lo sprar non serviva tanto a gestire un’emergenza ma a rendere autonome le persone, integrate, date che, nel momento in cui trovano un’attività lavorativa, non sono più sulle spalle di nessuno. Con il nuovo decreto, che taglia i posti Sprar da 35mila a 10mila, tutte queste persone ce le ritroveremo in strada, senza dimora, facile preda di chi li vorrà sfruttare per lavorare e per farci altro. Così inoltre si scaricano sulla collettività problemi che lo stato non riesce a risolvere, mettendo in ginocchio gli Enti Locali che dovranno far fronte con proprie risorse, a livello di bilancio, di servizi sanitari e di sicurezza. I servizi sociali pagheranno un prezzo molto alto, quello che è chiaro e che non saremo in grado di far fronte autonomamente a tutto questo. Dallo Stato tagliano le risorse ma le persone rimangono, e questo significa che i Comuni dovranno pagare di tasca loro i costi sociali e sanitari; è semplicemente impossibile, una follia. Noi ci troveremo a gestire dei territori non più sicuri. Immaginate tutte le persone accolte in questo momento per motivi umanitari che vanno per strada oppure vengono reindirizzate ai Cas, i centri di accoglienza straordinaria che raccoglieranno 300/400 persone. Com’è possibile fare integrazione così? Il modello della nostra regione puntava ad una accoglienza diffusa, con piccoli numeri. Ora non sarà più così e comuni di meno di 5mila abitanti potrebbero trovarsi un Cas con centinaia di rifugiati. In sintesi, un sistema statalizzato inefficiente che non fa integrazione e che scarica sui Comuni – che non hanno ovviamente le risorse – tutti i costi”.

Aboubacar, Ibrahim, Amadou, Ousmane sono arrivati in Italia abbandonando il loro paese e le loro famiglie in cerca di un futuro. Non è questione di capire i motivi del loro viaggio. Sappiamo che è un viaggio tremendo, fatto di deserti, carceri libiche e folli traversate del mare. Ma loro decidono di farlo. E’ una scelta. Sono qui, con tutte le intenzioni di avere una nuova opportunità.

Su una cosa concordano tutti: le migrazioni non si fermeranno. Sono un fenomeno connaturato alla natura umana e ai cambiamenti geopolitici in atto. Perché, allora, smantellare un sistema, quello dello Sprar, che funziona? Certo, come tutti i sistemi ha le sue pecche e l’integrazione non è mai un processo facile e lineare. Non tutti si integrano. Ma la strada presa con questo decreto è di chiusura totale. Chiusura, che non cancellerà comunque la voglia di partire.

“Stiamo cercando di capire come muoverci con Aboubacar – conclude Sabrina – ancora non sappiamo cosa fare, se consigliargli di partire per ottenere il passaporto, oppure provare un’altra strada”.

Per tutti il futuro è un’incognita. Per qualcuno lo è di più.