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Le cose nuove dell’Amoris Laetitia

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La gioia dell’amore, l’amore per la gioia. Ci vuole il gusto per la gioia. La legge con questa bussola, Andrea Grillo, l’Esortazione Apostolica di Papa Francesco. Docente ordinario del Pontificio Ateneo S. Anselmo di Roma, Grillo è intervenuto presso il Centro Parrocchiale “Giovanni Paolo II” di Santarcangelo sul tema: “Alla ricerca del bene possibile. Le cose nuove in Amoris Laetitia di Papa Francesco”. Gli abbiamo rivolto alcune domande.

Professor Grillo, qual è il primo passo da compiere per avvicinarsi ad Amoris Laetitia?
“Considerare attentamente il titolo; a tema c’è la gioia dell’amore, ma anche l’amore per la gioia. Non si capisce a fondo il testo se ci si accinge a leggerlo con la faccia da funerale, difendendosi dalle parole che vi sono scritte: ci vuole il gusto della gioia.
Questo non è semplice, il documento è impegnativo, corposo, ma anche molto chiaro e concreto; certamente va posto in una campata temporale più lunga del solito. Nelle discussioni, abitualmente il metro di paragone è la Familiaris Consortio. I due documenti stanno sullo stesso livello ma con 36 anni di distanza. Amoris Laetitia non dimentica il precedente, non lo condanna, ma lo sostituisce. E questo è un passaggio difficile da accettare per alcuni, ma bisogna camminare nella storia, non fermarsi, ce lo insegna l’autocoscienza magisteriale che è totalmente nuova rispetto al passato, in particolare rispetto al modello ottocentesco”.

Può approfondire questo aspetto?
Amoris Laetitia non è un vademecum, un «codice della strada». Ai numeri 2 e 3 si legge che il magistero non deve risolvere tutte le questioni, ma proporre lo sguardo per affrontarle. Il papa fa il suo mestiere, il Sinodo porta avanti il pezzo che gli compete,  poi le singole coppie hanno un ruolo decisivo. Insomma, è messa a fuoco la conoscenza diretta delle circostanze dei soggetti che è insuperabile. Possiamo parlare di una declericalizzazione che gradualmente avanza, ma ciò non significa diminuire il peso dei vescovi e del papa, bensì restituire ad ogni soggetto la propria responsabilità”.

È un documento corposo, la lunghezza può spaventare.
“Il musicista Richard Strauss diceva che un buon brano musicale lo si giudica dalla prima manciata di battute; Amoris Laetitia ha un inizio memorabile, con il racconto della famiglia nella Bibbia e si parla di famiglie non molto «regolari». Se questo è vero per l’inizio, lo è anche per la fine; infatti le conclusioni rappresentano una sintesi efficace di tutti gli aspetti trattati. Ciò che si legge fra l’inizio e la fine merita di essere approfondito senza paura del realismo che vi è rappresentato: se non si ascolta la realtà non si colgono le esigenze; «bisogna affinare l’udito del cuore». Penso che per capire fino in fondo queste parole ci vorranno 20 – 30 anni; questo non è scandaloso, i primi discepoli ci hanno messo una vita per capacitarsi di cosa era loro successo”.

Vuole dire che c’è un rischio?
“Certo, quello di idealizzare il passato. In questo modo non si va da nessuna parte, non serve. Il passato non è stato tutto rose e fiori e la parola «autocritica» non è sinonimo di distruzione: nell’Ottocento si faceva quello che il capofamiglia decideva senza ribattere, se eri una donna dovevi sposare chi veniva scelto per te; se il patriarca decideva che alla famiglia servivano braccia per il lavoro nei campi, tu smettevi di andare a scuola. Ci piacerebbe vivere così oggi? Pensiamo al film Philomena che racconta il dramma umano in una società chiusa. Chi ha nostalgia di questa società mente a se stesso”.

Quindi c’è un divenire anche nella storia della Chiesa.
“Quando si parla di «graduale capacità di amare» si delinea un cammino, un impegno personale intorno all’amore, che è il lavoro di tutta la vita. Fra i sette Sacramenti il Matrimonio è il più sorprendente e anche il più fragile. In esso convivono tre livelli di realtà: il livello naturale, cioè  quando un uomo e una donna si incontrano, si uniscono, fanno figli e questo è già di per sé un mistero di unione. Poi c’è il livello civile in cui  le leggi degli uomini strutturano certe forme di documentazione che nel tempo cambiano. Infine c’è il terzo livello che è la fede della Chiesa, dono, mistero, sacrificio vissuti in un rapporto. Il matrimonio vive dell’unione di queste tre esperienze”.

Noi fatichiamo a tenere uniti questi tre livelli?
“L’errore più comune è dividere quello che non può essere diviso. È molto viva questa coscienza in Amoris Laetitia. L’iniziativa del doppio Sinodo è stata elaborata nell’esperienza dell’America Latina, quindi in una cultura non europea. Ricordare questo è fondamentale. Il papa ha portato nella sensibilità del sinodo un’attenzione  che viene da una tradizione diversa dalla nostra. Ci dice che dobbiamo metterci in ascolto della famiglia, non solo dettare norme, dobbiamo imparare a restare stupiti davanti ad essa. Non a caso, la presentazione del documento alla stampa è stata affidata all’arcivescovo di Vienna, il Cardinal Christoph Schönborn, figlio di divorziati, come lui stesso ha sottolineato nel discorso: l’ascolto, la visione, la prospettiva cambiamo. La famiglia impara dalla Chiesa e la Chiesa impara dalla famiglia, il binario non è univoco. Già Giovanni Paolo II aveva parlato della famiglia come «soggetto e non oggetto di evangelizzazione»”.

Può farci degli esempi?
“Nella famiglia la Chiesa può vedere declinate parole come pazienza, perdono, stupore, condivisione, passione, impegno, responsabilità”.

C’è quindi un reciproco imparare dentro l’analogia fra Matrimonio e Chiesa?
“Ai paragrafi 72 e 73, nel cuore del documento, ci sono espressioni fortissime che sottolineano esplicitamente la connessione fra Cristo e la Chiesa, ma nel suo riverberarsi nella famiglia questa analogia diventa imperfetta e rende il rapporto umanamente complesso, difficilmente idealizzabile; i grandi ideali, se si idealizzano diventano violenti, si stravolgono. La perfezione, la purezza, la coerenza non possono essere pretese, ma attese in un cammino pieno di fragilità”.

Come si accolgono e come si accompagnano queste fragilità?
“Ogni matrimonio ha una storia e i vissuti sono la coscienza di questa storia che va ascoltata e inondata di misericordia. La pedagogia della misericordia nel documento viene affidata a tre percorsi: accompagnamento, discernimento, e integrazione; all’interno di essi ogni strappo è guardato come segno di una vita che può rifiorire e riconciliarsi. Una Chiesa puntata sulla sanzione, invece, non vede il cambiamento dei soggetti”.

Rosanna Menghi