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Lazzarini: lo Schweitzer di Viserba

“Riflettere sull’etica dell’amore per tutte le creature in tutti i suoi dettagli: questo è il difficile compito assegnato al tempo in cui viviamo” (Albert Schweitzer, Nobel per la Pace 1952).
È su tale filosofia che fondavano vita e azioni del medico viserbese Giovanni Battista Lazzarini (Roma, giugno 1882 – Viserba, maggio 1944), definito a pieno titolo dal professor Massimo Tognacci “Lo Schweitzer di Viserba. Una persona eccezionale con una storia fulgida, un santo, un prodigo che ha aiutato tutti i suoi pazienti, anche ebrei. Se esistesse l’aureola, lui avrebbe una stella cometa per quello che ha dato ai viserbesi. Avrebbero dovuto fargli un monumento e invece nemmeno una strada a ricordarlo.”. Testimonianze e accadimenti inducono a pensare che il dottor Lazzarini abbia “assistito” varie famiglie di rifugiati ebrei

Ma scherzi, vuoi che mi faccia pagare da te?
“Il dottor Giovanni Battista Lazzarini, gran signore anche nei modi, era un conte che aveva scelto per missione di fare il medico”<+testo_band>. Così lo ha descritto Cordelia (Nelia) Cevoli Tognacci, moglie del pittore viserbese Nazzareno Tognacci, Neno per gli intimi, il Professore per tutti. “Vestiva di nero, era bello, sorridente, con tanti capelli d’argento ondulati e la sigaretta sempre accesa, spesso anche durante le visite. In sella ad una bicicletta Bianchi raggiungeva i suoi pazienti fin nei luoghi più impervi e isolati, senza chiedere niente ed elargendo anche con aiuti materiali.
Ma scherzi, vuoi che mi faccia pagare da te? diceva a chi sapeva povero.
Laureatosi il 7 dicembre 1909 in Medicina e Chirurgia presso la R.U. di Roma, il dottor Lazzarini fu assistente presso l’Ospedale di Roma dal 1910 al 1911 e pubblicò il libro Sulle cause dell’aborto (1911). Conseguì a Roma il diploma di Igiene corso superiore e malattie oculari (1912), si occupò delle malattie celtiche presso gli ambulatori comunali di Roma (1911-1912)), fu assistente e aiuto all’Ospedale di Macerata (1913-1914) e medico condotto (1914) prima a Santa Giustina poi a Viserba. Promosso Maggiore medico nel 1912 e presente in Libia (1912), fu sul fronte italiano dal 1915 al 1918 e nel 1931, partecipò ad un corso sperimentale d’istruzione antigas (1918), fu insignito della Croce di Guerra e nominato capitano prima, generale poi. Tornato dalla Libia nel 1915, sposò la napoletana Attilia Donadio e dal matrimonio nacquero (a Roma) cinque figli: Domenico (Memmo), Masseo, Severa, Luciana, Lidia. Iscritto al Sindacato Fascisti fin dalla fondazione, il dottor Gian Domenico Lazzarini divenne Segretario dell’Oriente dei Medici Condotti e medico del reparto delle FF.SS. di Viserba fin dal 1922. Nei ricordi della figlia Lidia il mitico padre fu “Per forza di cose competente di tutto, da Torre Pedrera a Rimini: faceva l’internista, l’ostetrica, il medico generico”<(i>. Il primo ottobre 1942 la contessa Lidia Lazzarini sposò a Viserba il milanese Gian Marcello Gorra (genitori piacentini-marchigiani), il cui funerale si è celebrato alle ore 9 di venerdì 29 maggio 2009 nella chiesa parrocchiale di Viserba “Santa Maria a Mare”. Accanto a Villa Lazzarini, costruita nel 1902 in via Puccini 23, c’era la scuola “Renato Serra”, (la prima a Viserba e con solo quattro aule) edificata negli anni venti quando l’obbligo di frequenza era fino alla quarta classe. Emblema della prima esigenza culturale a Viserba, la “Renato Serra” è stata la prima scuola ad includere Viserba a Monte, Viserbella, Rivabella, Sacramora. La piccola Lidia, saltata la quinta elementare e passata direttamente all’esame d’ammissione al Ginnasio, insegnò lettere dal ‘43 al ‘69, prima alla scuola media Panzini poi al liceo Serpieri. Il padre, timoroso di brutti incontri, faceva accompagnare a scuola lei e Domenico da un vetturale, padre di Elio Pagliarani (Viserba 25.5.1927-Roma 8.3.2012, poeta del gruppo ‘63, critico, drammaturgo, saggista, romanziere, presente con i suoi testi nell’Antologia “I Novissimi”).

Rischiando la vita
ha aiutato gli ebrei
Domenico Lazzarini, arrivato a otto anni a Viserba con la famiglia, si trovò subito in pieno clima adunate: al capostazione Terruggi era succeduto Lugaresi e c’era stato l’attentato Zaniboni. Un mattino un coacervo di scalmanati si abbatté sulla porta di Villa Lazzarini. “Suo figlio deve venire con noi come mascotte” disse uno di loro montandosi il ragazzo sulle spalle e trasportandolo così lungo tutta la ferrovia; lui, innocente, si divertiva moltissimo ai canti di Giovinezza, giovinezza che rallegravano il cammino. Ben cinque furono quei “prelevamenti”, sfregio e ammonimento per i Lazzarini, veri antifascisti, che temendo per l’incolumità del figlio erano costretti a non replicare. Ma un giorno il medico, all’apice della disperazione per il continuo pericolo, prese a calci e pugni uno di quei signori con una violenza e rabbia davvero impensabili in una persona tanto mite e li scaraventò fuori dalla porta minacciandoli di ucciderli tutti se si fossero ripresentati. Le “visite” cessarono. Va sottolineato che, quantunque tutta la Romagna fosse al tempo zona di tesserati fascisti e mai si sarebbe pensato a tanti antifascisti a Viserba, il tesserato Zanzini, esattore dell’Azienda Elettrica, e il dottore Giovanni Battista Lazzarini si riunivano con altri compagni per tenere i fili di avanzamento nelle loro battaglie. Con l’avanzata del fronte, Villa Lazzarini fu requisita e sgombrata nel giro di poche ore. Lidia Lazzarini, lontana da Viserba nel periodo della guerra ‘43 – ‘45 (prima nel paesino veneto Motta di Livenza, poi a Varese dove le nacque il primo dei tre figli), saputo della requisizione della casa partì con marito e cognato dodicenne e dopo un viaggio disastroso arrivò a Viserba Monte accolta dalle maestre Perdicchi e Savoia che le comunicarono l’improvvisa morte del padre avvenuta in presenza del figlio Domenico (sottotenente) che, dopo la fuga dal campo di concentramento di Chatou Vert assieme al tenente Giordano Bruno e allo strenue antifascista capitano Angelo Mongelli (che per ben due volte era stato messo al muro e sparato e altre due volte era stata simulata la sua fucilazione).
La moglie del dottor Giovanni Battista Lazzarini, ignorando anche lei la disgrazia a causa di un disguido postale, arrivò a Viserba la notte successiva al funerale. “Nì, aprimi” lo chiamava “non ho la chiave” Ma lui era già al camposanto. Quella del nobile medico fu una morte “per dolore”: una casa dovuta lasciare, le figlie Lidia, Severa e Luciana lontane, Domenico tornato dalla Russia congelato e provato dall’esperienza sul fronte occidentale, Masseo militare nell’Italia meridionale (disperso, morto, prigioniero? … il silenzio più completo nonostante le ricerche tramite Croce Rossa e Svizzera). Finché un giorno, mentre la contessa Lidia, ormai rassegnata agli eventi, era sola in casa con la sua creatura di pochi mesi, qualcuno bussò alla porta: Masseo! L’immagine di quel “soldatone grande… grande così” la contessa Lidia Lazzarini Gorra l’ha sempre custodita con gran tenerezza nel cuore.

Maria Pia Luzi