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L’altro e un’integrazione possibile

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Un melting pot, esempio di integrazione, fondato sulla reciprocità e sul vivere insieme, senza arrivare alla segregazione di qualcuno. È una possibilità reale e concreta. A raccontarcelo in un incontro dal titolo Incontrarsi in periferia, durante l’edizione del Meeting di CL appena conclusosi, è  stato il prete argentino, Josè Maria di Paola, noto come padre “Pepe”, che vive  nelle villas da ben vent’anni e che molto deve nel metodo educativo da lui adottato a Papa Francesco, già vescovo di Buenos Aires.

Che cosa significa per un prete vivere nella villas?
“Noi sacerdoti di Buenos Aires da 50 anni abbiamo ereditato una buona tradizione: il parroco deve vivere nel suo quartiere. I scerdoti hanno così un osservatorio particolare. Non è un punto di vista sociologico o politico. Siamo grati di vivere nella villas e lo percepiamo come grazia di Dio. Vediamo una vita più umana della metropoli.  Vediamo valori importanti tra le persone con cui condividiamo la quotidianità. I nostri migranti vengono da varie parti dell’ Argentina, dell’Uruguay, della Bolivia e del Perù. Anche noi preti siamo vigeri, ci chiamano così, perché prendiamo i valori lì condivisi, non perché siamo nati lì. Siamo contenti di vivere nelle villas perché possiamo costruire la chiesa non da fuori, ma con loro <+cors>(gli abitanti della villas, ndr)”.

Qual è la cultura degli abitanti della villas?
“Ci sono dei valori specifici con quello che le persone portano con costumi, tradizioni e religione popolare dai loro territori. È diversa dalla società liberale, è una cultura che ha affinità con aspetti nazionalamericani,  dove i valori cattolici sono stati trasmessi di generazione in generazione. Tante persone che non sanno né leggere né scrivere hanno trasmesso la loro fede ai loro figli. E questo permette che la fede cristiana oggi sia vissuta nel nostro quartiere”.

Nelle villas è diffuso il narcotraffico, la microcriminalità. I governi sono in grado di risolverli?
“Si doveva trovare un capo governativo per le villas. Allora i giornalisti chiedevano ai vari candidati che cosa hai intenzione di fare per il crimine organizzato, che cosa vuoi fare rispetto alla villas? I giornalisti facevano la loro interpretazione e la parte della società pensava che andando a eliminare le villas, si potessero eliminare violenza, droghe e modi di vivere negativi. Ma noi, che c’eravamo accorti dei valori positivi delle villas, connessi con lavoro, salute e solidarietà, abbiamo capito che non c’era corrispondenza con le domande poste ai candidati”.

E quindi, che cosa avete fatto?
“In 20 preti delle villas, abbiamo scritto un documento. Sull’integrazione urbana che è piaciuto al vescovo Josè. Corresse solo gli errori ortografici presenti. Mi colpì che non fece nessuna correzione, ma oggi non mi colpisce più. Era parte del suo pensiero, di quando parla delle periferie. Quel documento offriva a tutti i candidati sindaco una nuova visione”.

Perché “nuova visione”?
“Integrazione urbana è per noi diversa dal termine sradicare che si usava nella dittatura militare e che è presente in certi spiriti xenofobi. Anche urbanizzare, seppure termine superiore e positivo, tuttavia era una svalutazione della cultura delle villas, ossia un quartiere di donne e uomini che hanno vissuto lì da 50 anni senza aiuti dallo stato. L’integrazione consentiva invece di vedere i valori dell’uno e dell’altro, instaurando un dialogo culturale per risolvere così un problema nella città. Che bello che sono le città che integrano i diversi e fanno dell’integrazione un fattore di sviluppo. Periferia, punto di osservazione importante per vivere al meglio la nostra fede cristiana”.

Qual è il contenuto del documento che avete scritto?
“Viene sottolineata la necessità di garantire le cosiddette tre “t”, tierra , techo, trabajo, ovvero il sacro diritto alla terra, alla casa e al lavoro e anche le tre ‘c’ colegio, club e capilla, ovvero scuola, attività ricreative e cappella. Le scuole sono lontane dalle villas e bisogna attraversare diversi quartieri. I colpevoli sono gli Stati, i governi; mancano le istituzioni. È nell’associazione che l’individuo può sviluppare le sue capacità, lo sport trasmette valori più che concorrenza. La terza c, ossia la cappella, rappresenta il luogo dell’identità. In tutte le villas di Buenos Aires c’è una cappella, che la gente costruisce con le proprie mani. Così, con quella creatività di cui parla il Papa, si realizza un circolo virtuoso e si custodiscono i valori culturali positivi delle villas. Se non ci sono questi punti di riferimento all’interno dei quartieri, droga e violenza diventano una seduzione”.

Sara Castellani