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La zona pastorale: una nuova risorsa

Fu un frate francescano di Lisbona, custode della casa natale e della basilica dedicata a sant’Antonio, a farmi notare che la denominazione esatta del nostro Santo è “Sant’Antonio da Lisbona” o, per noi italiani, “Sant’Antonio di Padova”: infatti “da Lisbona” indica l’origine, “di Padova” indica l’appartenenza.
Ma a dispetto delle forme grammaticali, a Rivazzurra la parrocchia è dedicata a Sant’Antonio da Padova, retaggio del passaggio dei frati conventuali di Bellariva.

“In effetti – ci racconta don Franco Staccoli, parroco a Rivazzurra dal 2005 – il primo servizio religioso nel cosiddetto “Villaggio Nuovo” l’hanno iniziato proprio i frati di Bellariva nel 1950. Successivamente la zona è stata eretta parrocchia (1.10.60), e affidata alle cure di don Luigi Tiberti fino al 1961.
Col suo successore, don Mario Semproli, la parrocchia cominciò a prendere forma: costruì poco per volta la casa, la chiesa e le opere parrocchiali.
Il suo successore, don Fausto Bernardi, ampliò la chiesa e continuò il lavoro di formazione alla comunità con una attenzione particolare alla catechesi dell’iniziazione cristiana.
Per la morte improvvisa di don Fausto, avvenuta il 31 luglio 2005, il Vescovo mons. Mariano De Nicolò ha chiamato me a continuare l’opera dei sacerdoti precedenti, con un’attenzione particolare alla Parola di Dio ed all’Eucaristia domenicale e feriale”.

Don Franco è “sceso” a Rivazzurra dalla tranquilla Saludecio. Dal monte al mare il passaggio è stridente, non solo fisicamente, ma soprattutto culturalmente e sociologicamente. Quale è stata la tua prima preoccupazione e il tuo primo impegno?
“Quando venni qui, il 28 agosto 2005, nella presentazione alla Messa espressi un desiderio: che la Comunità di Rivazzurra diventasse sempre più una famiglia, la famiglia dei figli di Dio, perché questo è il sogno di Dio Padre sull’umanità intera ed è anche la preghiera di Gesù nel Cenacolo la sera prima di donare la sua vita sulla croce per noi: «Perché tutti siano una cosa sola. Come tu, Padre, sei in me e io in te, siano anch’essi una cosa sola, perché il mondo creda che tu mi hai mandato» (Gv. 17, 21). Che tutti impariamo a sentirci una sola grande famiglia: ecco la mia principale preoccupazione e il mio programma pastorale”.

Da dove nasce questa intuizione?
“Il primo pensiero è che di fronte all’ individualismo sempre più diffuso, alla indifferenza strisciante verso chi è accanto a noi, alla mentalità sempre più invasiva e suadente del “fatti gli affari tuoi!”, non dobbiamo scoraggiarci. Gesù ha pregato il Padre per noi e la sua preghiera non cade nel vuoto. Lui è con noi nella realizzazione di questo sogno.
In secondo luogo, ogni persona: giovane o adulto, bambino o anziana, per il fatto di aver ricevuto il Battesimo è entrata nella famiglia di Dio, concretamente nella comunità di Rivazzurra ed è chiamata a vivere il dono ricevuto, sentendosi responsabile nel costruire rapporti di amicizia e di fraternità con tutti. Non è scontato, ma val la pena entrare in questa visione della vita, in cui ognuno cerca di fare la sua parte per il bene degli altri”.

Concretamente e pastoralmente, qual è la via per attuare questa preghiera di Gesù?
“Cerchiamo di crescere nel confronto con la parola di Dio e di viverla, in modo da diventare testimoni della propria fede. È un cammino lento e faticoso, ma degno di essere perseguito.
Certo, la base di partenza è fragile, basti pensare che la presenza alla messa domenicale coinvolge solo l’8 – 10 per cento della popolazione. Lo slogan che viene proposto è: evangelizzarsi per evangelizzare. Come? C’è un incontro settimanale sulla Parola della domenica seguente, purtroppo non molto partecipato. Al massimo 10 persone. Inoltre facciamo incontri mensili con i genitori dei ragazzi che si preparano ai sacramenti dell’Eucaristia e della Cresima, partendo dal vissuto. Completano le iniziative in questo senso l’incontro settimanale del Rinnovamento nello Spirito e quello mensile della Parola di Vita”.

Se solo l’8 – 10 per cento frequenta la parrocchia, allora c’è un 90 per cento che rimane lontano …
“Purtroppo sì. E purtroppo non ci sono ancora iniziative specifiche per i cosiddetti lontani, se non attraverso momenti di festa e di invito a cene comunitarie per scopi specifici, come aiutare determinate iniziative missionarie nel Benin tramite l’associazione Espero, in Brasile e in Cile tramite i Missionari di Villa Regia, oppure nel sovvenzionare la Caritas interparrocchiale. Dall’estate scorsa abbiamo iniziato un mercatino in favore di Operazione cuore della dottoressa Pesaresi”.

Scarsa presenza alla messa domenicale, ma il tessuto cristiano di fondo forse tiene ancora, per esempio riguardo alla catechesi …
“In effetti, per ora, quasi tutte le famiglie mandano i loro figli alla catechesi, ma le motivazioni, nella maggioranza dei casi, mi sembrano scarse e superficiali”.

Però questo campo potrebbe portare molti frutti, anche perché saranno molte le famiglie coinvolte.
“Se consideriamo che per ogni anno abbiamo da 50 a 60 bambini, effettivamente le occasioni di incontro con le famiglie sono tante.
I fanciulli incominciano il loro cammino di catechesi dalla terza elementare con la scoperta dell’Amico Gesù. E da subito vengono coinvolti quei genitori che si rendono disponibili per iniziare il cammino di fede.
Ai genitori viene proposto di accompagnare i propri figli alla messa domenicale ed alle prove di canto il sabato pomeriggio, per coinvolgerli in modo gioviale ed avvicinarli alla fede. Inoltre viene proposto di partecipare a turno all’incontro settimanale di catechesi con il proprio figlio.
Alla catechesi viene dato il timbro di un vero annuncio della fede e di proposta attraente della esperienza cristiana attraverso la lettura della parola di Dio rapportandola alla realtà quotidiana. Scopriamo così che la Parola non è lontana dalla vita, ma si integra con essa, dando risposte adeguate ed illuminanti”.

Fra le tante occasioni di incontro delle famiglie, generalmente, i preti hanno anche quella delle benedizioni pasquali. Riesci a mantenere in parrocchia questa tradizione?
“Per ora sì e la faccio ancora io, visitando tutte le famiglie. È un’occasione veramente bella di conoscenza e di incontro nella preghiera, che fa crescere il senso di appartenenza alla comunità e alla famiglia parrocchiale. Anche questa fugace visita è occasione per seminare la Parola di Dio … poi porterà i frutti pensati e voluti da Dio”.

Arrivando qui nel 2005 ti eri proposto un’attenzione particolare alla celebrazione dell’Eucaristia domenicale e feriale. Ci basta un accenno alle vostre celebrazioni domenicali.
“Il primo impegno è per me, curando in modo particolare l’omelia e poi accogliendo le persone che vengono a messa. Poi cerchiamo di curare la messa col canto e con la partecipazione attiva di tutti. Ogni ultima domenica del mese la messa viene preparata e animata dai ragazzi del catechismo: chi fa il servizio all’altare, chi la processione offertoriale, chi prepara la preghiera dei fedeli e chi la legge in assemblea. Così attraverso l’esempio vivo dei ragazzi rimangono catechizzati anche i genitori”.

La parrocchia di Rivazzurra è nata dai e coi frati di Bellariva. C’è ancora qualche rapporto di collaborazione con loro?
“Direi qualche cosa di più di qualche rapporto, e non solo con Bellariva, ma anche con Miramare. C’è un lavoro di sinergia sempre più intenso con le due parrocchie della zona pastorale, sia per l’aiuto reciproco nella pastorale ordinaria, sia per i ragazzi del dopo cresima e delle superiori. Inoltre il fatto che almeno tre giorni alla settimana i sacerdoti delle tre parrocchie si trovino insieme a pranzo è segno di comunione e di collaborazione.
Un altro segno concreto di questa collaborazione è la Caritas interparrocchiale (Bellariva-Rivazzurra) che, con il centro di ascolto di ogni mercoledì e la distribuzione di viveri e indumenti, cerca di rispondere alle necessità sempre più urgenti e frequenti, presenti sul territorio. Inoltre siamo riusciti ad attivare anche un doposcuola denominato: la parrocchia che accoglie”.
Insieme a Miramare, Rivazzurra condivide la zona aeroporto: un invito a ”volare alto”, anche quando la nebbia vorrebbe impedirlo.

Egidio Brigliadori