Home Storia e Storie La villa che divenne cimitero

La villa che divenne cimitero

Alcuni oggi scrivono che nella seconda metà del ‘700 Carlo Agolanti difese il suo interesse in occasione dell’appasso di Serafino Calindri, ma cosa difese Carlo Agolanti? Si oppose al pagamento di tributi fondiari calcolati con i nuovi metodi di stima. Dopo il 1750, infatti, con la riforma tributaria, si avviava la riforma dell’amministrazione patrimoniale e delle entrate dello Stato della Chiesa.

Tributi e rendite
A Rimini si introdusse per la prima volta un nuovo metodo di calcolo dei tributi, dove le rendite venivano aggiornate e calcolate con le stime delle proprietà fondiarie ai valori effettivi dell’epoca. Lo scopo era di parametrare i tributi ai valori reali delle rendite patrimoniali. Il risultato fu che (misurata con la tavoletta pretoriana la consistenza effettiva della proprietà) i tributi della famiglia Agolanti, sulla rendita della villa di Bellaria dopo l’appasso catastale, aumentarono del 120% sugli antecedenti. Sempre sull’argomento, rendita e tributi della famiglia Agolanti, si ipotizza che la vicenda fu lunga e tortuosa. In realtà Carlo Agolanti promosse una causa contro Calindri dalla quale uscì perdente. Questa fu una delle concause dei veleni, delle minacce, degli insulti, della perfidia, dei vendicativi mancati pagamenti sottoposti alla firma dell’Agolanti. All’epoca, infatti, era amministratore pubblico e usò quanto in suo potere per ritardare i pagamenti dei compensi a Calindri, causando una grave condizione alla sua famiglia nei due lustri che seguirono. Ad un certo punto entrò a piè pari nella vicenda anche Antonio Battarra, il famoso sacerdote naturalista, agronomo e micologo che si scagliò contro i corrotti che sottraevano una ingente quantità di denaro pubblico per la riattazione del porto, amministratori pubblici che per appropriarsi del denaro nominavano inesperti di idrostatica senza ripristinare il funzionamento del porto. Calindri scrisse del malaffare e dell’ingente sottrazione di denaro che veniva fatto da alcuni amministratori locali. Ritengo che ancora oggi tra gli studiosi locali non si ammette l’evidenza, gli incontrovertibili fatti, la realtà, che all’epoca vide arricchire alcuni cittadini riminesi a discapito di tutta la comunità.
Soprattutto è inspiegabile come non si ammetta la più semplice delle verità storiche: il danno arrecato a tutta la comunità cittadina che avrebbe tratto un indiscutibile vantaggio da una buona funzionalità portuale.

Un catasto basato
sul valore stimato
Anna Maria Guccini nell’elegante, accurato e bel libro La valle del Conca, pubblicato da Minerva edizioni (Bologna 2011), sintetizza perfettamente il metodo Calindri. “Un catasto di nuova impostazione basato sulle misure, realizzato con la tavoletta pretoriana e disegnato sul posto e che doveva assegnare ad ogni singolo appezzamento un valore di stima intrinseco della coltura più idonea. Ad ogni particella di terreno era assegnato un numero che veniva in parte spiegato dall’elenco progressivo riportato sul retro della mappa dove ad ogni numero era accostato il nome del proprietario e l’estensione dell’appezzamento”. Le notizie più dettagliate ed estese sulle proprietà erano elencate nei <+cors>brogliardi, i registri che seguivano sempre le mappe. “Fatto assolutamente nuovo l’estimo, non più basato sulle denunce dei proprietari, ma sul valore stimato, stimolava la produttività e, con l’assegnazione di parametri oggettivi, sconvolgeva la precedente tendenza da parte dei proprietari al mantenimento passivo dello stato di fatto”. Il profitto delle famiglie era preferito al pagamento dei dazi all’erario. Protagonista di queste vicende la borghesia riminese nobiliare e patrizia che aveva rappresentanti sia nel Clero che nelle cariche amministrative cittadine e a Roma era rappresentata in alcune personalità di rilievo. In città i nobili, borghesi e Clero erano in lotta tra di loro. Dopo la salita al trono di Papa Ganganelli vi fu un arretramento delle posizioni riformatrici fino allora volute da Papa Rezzonico, vinse la fazione interessata alla conservazione. In città vinse la borghesia che ambiva ai titoli nobiliari, al danaro per il porto. Il medico Bianchi ne fu indiscusso capofila riproponendo ed ottenendo grazie all’amicizia con il nuovo papa, ingenti (inutili) spese per il prolungamento dei moli.

Nobili
e borghesi provinciali

Correvano le controversie e le lotte locali tra il clero (in linea con Clemente VIII) e i ceti nobiliari al governo civico riminese. Ceti nobiliari e borghesi che per vari secolari motivi, non ultimo la ridistribuzione sbilanciata dei sopravanzi, riuscirono presumibilmente a trarre un utile vantaggio dal denaro pubblico per i lavori portuali. La brama portò contrasti, si intentò un processo a Calindri che risiedeva in città con la sua famiglia, il calcolo delle nuove rendite gli aveva attirato acredini fino ad essere apertamente perseguitato da Bianchi e Agolanti (Deputato al Porto), e da Papa Ganganelli che da buon consultore del S. Uffizio (Congregazione, ai conventuali), diede ordini perentori di censura al suo lavoro. In concomitanza di questi fatti si verificò l’estinzione dei casati nobiliari e il Consiglio Generale riminese nella seduta estiva del 1761, relatore Pietro Banditi, decise di ammettere i borghesi all’elezione nobiliare con i matrimoni. Carlo Agolanti fu direttamente interessato sia per le cariche pubbliche che ricopriva, sia per incrementare il patrimonio personale e familiare. Giovanni Battista Agolanti, figlio di Carlo, per esempio, sposò Marianna Banditi la seconda figlia di Pietro Banditi, una famiglia arricchita da recenti fortune. Le fortune nella famiglia Banditi il cui capostipite Pietro (con il matrimonio consuocero di Carlo), Console dal lontano 1742 lasciano più di qualche fondato dubbio e irrisolti interrogativi sul dove finì il fiume di denaro sperperato al porto cittadino senza alcuna soluzione. L’ipotesi al momento più immediata è che questi fondi venissero, nella sostanza, deviati nelle casse di alcuni degli amministratori con forte disappunto di chi come Battarra sapeva e lo protestò pubblicamente. Questa ipotesi che traspare nettamente dalle stampe, dalle corrispondenze epistolari, dalle testimonianze dell’epoca attende la prova certa ma a ben vedere vale il principio dei “tre indizi fanno una prova”. Le ricchezze della famiglia Banditi portarono alla elezione a Cardinale di Francesco Maria Banditi. La famiglia Agolanti andò estinguendosi, Giovanni Battista, l’ultimo della famiglia Agolanti non lasciò eredi. Quelle proprietà e quelle rendite, quelle ricchezze disinvoltamente costruite e così accanitamente difese subirono un declino ed una sorte incredibilmente inaspettata. Dalla attuale documentazione delle antiche mappe del catasto Calindri georeferenziate, messa in rete dalla Provincia di Rimini (S.I.T.U.A.), si evince chiaramente che nel luogo dove anticamente fu la villa degli Agolanti a Bellaria, oggi vi sia il cimitero. Uno strano scherzo del destino dove ogni forzatura del passato trova un inaspettato livellamento in una sorta di rivincita postuma. Parafrasando il titolo del libro dello storico del medioevo Jaques Le Goff, il denaro non è che lo sterco del diavolo.

Loreto Giovannone