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La storia emerge se la si cerca

“Gli archivi possono rivelarci sempre delle sorprese”.
E come dare torto al professor Angelo Turchini che mosso da questa curiosità e dalla consapevolezza che “se non si cerca non si trova”, continua da decenni a regalarci “sorprese” e splendide ricostruzioni di un passato che non sempre salta agli occhi con forza. Nell’ambito della settimana della cultura (18-26 aprile) l’Archivio di Stato di Rimini ha chiamato molti appassionati e studiosi di cultura a spiegare, al pubblico meno avvezzo agli scaffali e alla polvere, l’importanza, il senso dei documenti, delle carte, delle tracce lasciate dal passato (il Ponte, 26 aprile). C’era anche lui, Angelo Turchini, professore ordinario di Archivistica, che ha dedicato il suo intervento ai sigilli della famiglia Malatesta di Rimini – e non solo – in una sorta di anticipazione di una ricerca più ampia che verrà pubblicata entro l’anno: Comune di Rimini e famiglia Malatesta: gli archivi antichi con note su carte dell’Archivio Segreto Vaticano. Un appuntamento molto interessante, nel quale sono stati mostrati sia i sigilli collezionati, raccolti ed esaminati nel corso del tempo da diversi studiosi, sia – per la prima volta nella loro realtà materiale – i sigilli della città di Rimini.

I sigilli, i documenti
I sigilli sono stampi che venivano utilizzati nella corrispondenza, a garantirne l’autenticità. Naturalmente ogni sigillo ha il suo significato, ossia è costituito da elementi iconografici che ne ricostruiscono il senso. Quelli del Comune di Rimini sono assai diversi da quelli dei Malatesta. In primo luogo sono più numerosi, perchè ogni Malatesta che si avvicendava al comando, portava con se il suo “timbro”, il volto del Signore, e in secondo luogo sono più ricchi di elementi iconografici, appunto.
I sigilli del Comune di Rimini mostrano una particolarità, però: quella di rappresentare i due simboli della città, ossia l’Arco D’Augusto e il Ponte di Tiberio, che si vedono ben precisamente in un esemplare del XV secolo. All’inizio del XVI secolo il precedente viene stilizzato e si aggiunge il particolare della croce, a indicare che la città torna pienamente nel dominio della Santa Sede. “Croce che arriverà intatta sulle maglie della Rimini calcio” precisa divertito il professore.
Molti materiali, descritti dal professore, confluiranno in una mostra, da lui ideata, che nei prossimi mesi si aprirà al pubblico “con una serie di oggetti curiosi”, ama precisare.

La storia, la memoria
Ma da dove arriva e più di ogni altra cosa dove porta tutto questo lavoro?
Ne La memoria di Ravenna. Vogliamo perderla? edito da Il Ponte Vecchio, Turchini ha scritto “Invito alla memoria”, un intervento o meglio una riflessione profonda sulla memoria e la sua importanza.
Da dove nasce il suo desiderio di fare storia, di fare memoria?
“Nella società attuale ci si muove tra un forte desiderio di conservazione e una altrettanto consistente capacità di distruzione della propria memoria. Ci si trova sempre più immersi tra locale e globale (glocal); ma quanto più siamo inseriti nella globalizzazione, tanto più esiste la necessità di presentarci con il nostro volto, con la nostra identità; in quella presente è incorporato il nostro passato e vi è la prefigurazione del futuro”.
Stiamo dimenticando il nostro passato, crede?
“Con la frammentazione postmoderna stiamo scordando il nostro passato culturale; in compenso l’antichità ritorna in maniera postmoderna, attraverso il recupero episodico ed effimero di schegge del passato del tutto sconnesse da ogni totalità”.
Qual è il legame che tiene unite l’identità di ieri da quella di oggi?
“L’identità di oggi si definisce per la capacità di essere, si sostiene grazie all’appartenenza a un gruppo, alla possibilità di situarsi all’interno di un sistema di relazioni, ne delimita le caratteristiche rispetto ad altri, ma deve confrontarsi per essere riconosciuta come tale; rapportarsi con la identificazione fatta da altri: ciò vale rispetto al passato e al presente.
Ritiene che venga fatto abbastanza per recuperare la memoria?
“La memoria culturale media degli individui si accorcia sempre più, e il contesto di una società del consumo effimero anche del presente non agevola certamente il recupero del passato, se non come usa e getta. Nella cultura del presente e del frammento, manca la storia, non il racconto, manca il contesto, non l’episodio, salvo trasformare tutto e comunque in curiosità o in nostalgia; e non in memoria”.
Come si conserva, allora, la memoria?
“Il problema della conservazione della memoria non tanto del ricordo, ma della memoria e della qualità della sua costruzione o recupero vanno visti come processi di integrazione, in cui la capacità di dimenticare è forte, mentre sempre nuovi dati si aggiungono a cacciare in un angolo quelli precedenti che si sedimentano in modo casuale, registrati in modo duraturo. Ora gli archivi dei luoghi e degli uomini, delle loro aggregazioni e delle loro istituzioni, della speciale sorveglianza sugli uomini che abitano all’interno della circoscrizione territoriale offrono memoria collettiva della città, villaggio, della contrada e della comunità che vi vive, filtrata da lenti diverse”.
È negli archivi che nasce la storia?
“Passare dagli archivi alla storia non è operazione del tutto semplice; il tesoro degli archivi sono le informazioni, ma bisogna riconoscerle in relazione ai quadri più ampi, anche istituzionali (ogni documento vale come un quadro), e tenendo conto che il panorama culturale è decisamente nuovo”.
Quando sentiamo di più il bisogno del passato, della memoria?
“Cito A. Oliverio: «Il passato viene anche ricercato nei momenti di crisi ideologica, sociale ed economica». Prolifera così una vera e propria industria dell’eredità culturale che, se da un lato allaccia il presente col passato, dall’altro da fiato a una dimensione nostalgica. Occorre investire sulla conservazione della memoria”.
Ci si può permettere il lusso di dimenticare?
“Evidentemente no, ma ci si può permettere il costo di conservare ragionevolmente e adeguatamente (parte) della memoria, anche da recuperare dai luoghi reconditi in cui talora è finita”.

Angela De Rubeis