La sicurezza? Non è in… cassaforte

    Mai come in questo caso i numeri parlano. E in maniera inquietante. Ventisei nel 2006, trentuno nel 2007, sei da gennaio allo scorso 14 aprile, data dell’ultimo tentativo riuscito presso la Banca Intesa San Paolo, in via Roma, a Rimini (12mila euro il bottino). Sono le rapine effettuate presso gli sportelli bancari della provincia, una sorta di “tassa” che istituti di credito e soprattutto lavoratori, devono sopportare a cadenza sistemica.
    Statistiche paurose, perché dietro a una rapina non c’è solo la questione finanziaria, spesso irrisoria rispetto a quella emotiva, ma vere e proprie ripercussioni psico-fisiche per chi subisce la minaccia armata e, la mattina dopo, deve ripresentarsi allo sportello come nulla fosse accaduto.
    Il problema è davvero grave e c’è chi fa di tutto per combatterlo alla radice. In prima fila c’è senza dubbio la Fiba-Cisl, che sta per Federazione italiana bancari assicurativi, il sindacato di riferimento per chi lavora presso gli istituti di credito.
    “È una questione che parte da lontano – spiega il dottor Franco Piva, segretario generale della Fiba-Cisl di Rimini – e che nasce dal cambiamento di conformazione che gli sportelli bancari hanno avuto dagli anni ’80 ad oggi. Trent’anni fa c’erano poche sedi, tutte con 100-120 dipendenti, oggi l’esplosione delle filiali ha fatto sì che le grandi sedi centrali della provincia di Rimini non abbiano più di 15-20 dipendenti alla cassa, mentre nelle piccole capita anche di imbattersi in 2-3 sportelli e basta. In totale, nella provincia, ci sono ben 300 sportelli. Un’enormità”.
    Sembra evidente, la concatenazione che si scatena dalla delocalizzazione delle sedi e, quindi, del denaro e delle casseforti. Ma il brutto è alla voce “sorveglianza”, e in questo senso si rimane spiazzati dalle leggi vigenti.
    “Il rischio è centuplicato, e solamente le sedi grosse dispongono di guardie giurate che non sono obbligatorie. È chiaro che la presenza del vigilante non garantisce una soluzione, ma guarda caso dove è presente la rapina non viene effettuata, siamo rasenti allo zero anche come tentativi di furto. Questo perché le rapine in banca vengono effettuate da balordi e tossicodipendenti, automaticamente demotivati a provarci se è presente una guardia. Mentre dove non c’è, è praticamente matematico che prima o poi accada. E le forze dell’ordine, che dovrebbero sorvegliare la situazione, non si stanno dimostrando adeguate al problema”
    Al problema, allora, ci sta pensando proprio la Fiba che l’anno scorso ha coinvolto la Prefettura riuscendo ad ottenere una riunione generale con tutte le banche principali della provincia. E mettendo sul tavolo una proposta precisa, mirata e di probabile riuscita.
    “A Rimini e provincia, su 300 sportelli, solo 20 dispongono di guardia giurata, e statisticamente esistono due tipologie di rapine: allo sportello per importi piccoli, alla cassaforte negli orari di chiusura per il grosso del contante, ma qui si tratta di professionisti. Siccome l’Abi (Associazione Bancaria Italiana) sostiene che le banche per la sicurezza spendano tanto ma male, allora abbiamo sperimentato una soluzione. La maggior parte delle rapine è concentrata nel periodo estivo (14 su 31 tra maggio e settembre nel 2007), per cui, e lo diciamo dal 1997, perché non investire in gruppi di vigilantes che fanno ronde sistematiche in diverse zone della città? Assicurando il passaggio ogni 15-20 minuti, c’è la possibilità, in caso di movimenti sospetti, di chiamare la Polizia. Ed è un deterrente per i rapinatori”.
    Tutto sensato, tutto molto calcolato. Ma non se n’è fatto nulla. Perché?
    “Perché le banche sostengono che le misure di sicurezza sono già sufficienti – tuona Piva, tra l’altro bancario anche lui – visto che il famigerato Protocollo di Sicurezza stilato dall’Abi per tutte le agenzie italiane, e approvato dalla Banca d’Italia (partecipata in gran parte, guarda caso, dalle banche private), dal Prefetto, dalle Forze dell’Ordine e dalla stessa Abi, ma non dai sindacati, è rispettato in misura sufficiente da tutte. La realtà, però, è che le misure di sicurezza dettate sono inadeguate, e siccome per essere in regola basta rispettarne 3/7, tutti giocano al ribasso per risparmiare sugli investimenti. Non è pensabile pensare di proteggersi con la videoregistrazione, le porte a consenso e la bussola individuale: chiunque può aggirare queste protezioni, e tra l’altro le pene previste per le rapine sono irrisorie, soprattutto se eseguite senza armi da fuoco”.

    Matteo Peppucci