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Caar – La Regione non… Centro più

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Rimini è preoccupata. Il Centro Agro Alimentare potrebbe perdere un pezzo. Un “pilastro” non indifferente. Con una delibera di Giunta (21 dicembre 2017), la Regione Emilia Romagna mette nero su bianco l’intenzione di riordinare le sue partecipazioni societarie. Una decisione dal riverbero riminese, ovvero l’alienazione delle quote del Caar (Centro Agro-Alimentare Riminese spa), di cui l’ente delle Due Torri detiene l’11 % circa, pari a 1,3 milioni.
Ai rumors che si inseguono circa la sorte delle quote regionali, fa riscontro il “moderato ottimismo” dell’assessore al Bilancio Gianluca Brasini del Comune di Rimini (ovvero il principale azionista del Caar (59,31%) e la “moderata preoccupazione” del presidente del Centro Agro-Alimentare Mirco Pari. L’adagio “mal comune mezzo gaudio”, per cui anche i centri di Bologna e Parma farebbero i conti con l’uscita della Regione, questa volta non attecchisce in Adriatico: il Caar di Rimini viene da due anni di bilanci sostanzialmente positivi e una previsione ottimista sul 2017, dal miglior risultato di sempre in termini di affitto dei box (46 su 47) e da indubbio valore pubblico del servizio che, forse anche a causa della natura turistica del riminese – sembra aver ingranato la marcia giusta, anche in seguito ad un’attenta cura gestionale.
Paradossalmente, chi si occupa di seguire il “bye bye” al Centro Agro-Alimentare riminese è proprio una riminese: l’assessore al Bilancio Emma Petitti (nella foto ©Fabrizio Petrangeli), la cui delega alle Partecipate la pone in questa vicenda al centro dell’attenzione.

Assessore Petitti, perché la Regione ha intrapreso la strada del riordino delle partecipate, e in modo così accelerato? La legge Madia, in tal senso, ha maglie piuttosto larghe. Quali saranno le modalità e le tempistiche di tale procedura?
“La Regione Emilia-Romagna ha avviato in modo volontario e discrezionale il processo di semplificazione, riordino e razionalizzazione delle proprie partecipazioni societarie a partire dal 2010, quindi prima che fosse imposto dalla normativa e dagli organismi di controllo (in primo luogo dalla Corte dei Conti); la legge Madia comunque detta dei tempi molto stretti e dei vincoli stringenti sulle modalità di questo processo”.

Nel piano di riordino presentato già nella primavera del 2016, compare l’uscita della Regione dalla partecipazione ai centri agroalimentari. Eppure proprio le leggi regionali n. 47/1995 e n. 1/1998 finanziavano e disciplinavano i mercati all’ingrosso agro-alimentari. Non è una contraddizione in termini?
“La Regione Emilia-Romagna è da tempo impegnata a promuovere e favorire la   riqualificazione, l’ammodernamento e l’innovazione dei centri agro alimentari e dei mercati all’ingrosso, al fine di ottimizzare il servizio reso, favorire l’occupazione, garantire al consumatore le migliori prestazioni.
I contributi, previsti dalla legge regionale 24 aprile 1995, n.47, riguardano l’intero sistema dei mercati agro alimentari e non è riservato a quelli partecipati dalla Regione. Non si rileva pertanto alcuna contraddizione fra i due processi, in quanto la finalità della promozione dell’innovazione del sistema produttivo regionale resta una delle strategie prioritarie della amministrazione”.

Caar di Rimini. Si tratta di azienda a maggioranza pubblica (il Comune di Rimini socio di maggioranza con il 59% delle quote), non prevede utili da dividere ai soci. La Regione detiene l’11% delle quote. Dopo un passivo relativo nel 2015 (149.000 euro), il Caar di Rimini chiude il bilancio 2016 in attivo e anche per il 2017 si prevede un sostanziale pareggio. Dunque non presenta criticità finanziarie (al contrario dei centri agro-alimentari di Bologna e Parma) ed è di interesse pubblico. Perché dunque volerne uscire?
“La valutazione dell’attività svolta dal Caar di Rimini è assolutamente positiva, anche in considerazione dell’importante risultato economico raggiunto negli ultimi esercizi finanziari. L’obiettivo di uscire rientra in una scelta strategica complessiva volta a ridurre la partecipazione della Regione nelle società partecipate, al di là di ogni valutazione di merito sull’attività”.

Nel caso la Regione volesse recedere dalle proprie quote di partecipazione del Caar, metterà al bando il proprio 11%. Se dopo 1 anno dovesse restare invenduto, dovrebbe chiedere e ricevere quei soldi direttamente dai soci. È evidente che una operazione di questo tipo metterà in difficoltà sia il Comune di Rimini (socio di maggioranza) sia il Caar stesso che non ha liquidità tali e dovrebbe indebitarsi per saldare la Regione socio pubblico che ha partecipato alla creazione stessa del Caar.
“La Regione attiverà un procedimento di dismissione, ai sensi delle disposizioni del decreto Madia. Se al termine del percorso non si individueranno interlocutori pubblici/privati disponibili a subentrare in tale partecipazione, risulta evidente che non si determinerà alcun obbligo al subentro a carico degli altri soci”.

L’uscita eventuale dal Caar non rischia – a detta di politici e amministratori – essere un’iniziativa formale più che una ponderata valutazione del ruolo della Regione e delle aziende di cui è socia?
“La valutazione della Regione è quella di definire un percorso che comporti una graduale uscita dalle partecipate per meglio favorirne percorsi di competitività nel mercato”.

Ci sono margini di manovra, da valutare con l’advisor, per discutere la strategia, oppure la revisione è già decisa e va solo concretizzata?
“L’advisor ha un ruolo tecnico per orientare verso le migliori soluzioni possibili le scelte dell’amministrazione regionale. Le linee di indirizzo del riordino complessivo delle partecipazioni regionali sono delineate, seguiamo e ci facciamo parte attiva sia nei rapporti con gli altri soci, sia nel confronto a livello nazionale per cogliere ogni mutamento che dovesse intervenire nelle regole e negli scenari”.

A cura di Paolo Guiducci