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La quarta conchiglia del pellegrino Amato di Saludecio

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Durante l’ultima ricognizione, avvenuta il 30 luglio 2014, quando furono esaminati il sacro corpo e tutti gli oggetti contenuti nell’urna di Santo Amato, si trovarono anche quattro conchiglie a ricordo dei pellegrinaggi a San Giacomo de Compostela in Spagna.
Nel Medioevo erano tre i santuari più frequentati: Roma che aveva come simbolo la “Veronica” (telo dipinto con il volto di Cristo) o le chiavi; la Terrasanta con simbolo la palma o la croce; Santiago con la conchiglia della varietà “pettine di mare”. Insegne, queste, che erano un pò la carta d’identità che dava l’opportunità ai pellegrini di aprire le porte di tante case, ospitali e conventi.

Mentre tre conchiglie erano ben visibili (due sulla mantellina, una accanto ai piedi) la quarta ci riservò una straordinaria sorpresa. Era già stato esaminato il flagello con manico di legno e quattro catenelle, usato dal Santo per far penitenza; giaceva ancora distesa, sul fianco, la borsa di pelle o scarsella consumata dal tempo e dall’uso. Quando venne sollevata apparve sul logoro coperchio una conchiglia anch’essa consumata e scheggiata (nella foto insieme alla borsa). L’emozione e la commozione furono grandissime. Ci veniva offerta in quel momento la documentazione storica dei suoi pellegrinaggi. Nessuno aveva mai parlato di questa testimonianza preziosa nelle precedenti ricognizioni. Attaccata con un rudimentale filo che passa attraverso due forellini, è lì da secoli; guardandola con gli occhi umidi di pianto, mi venne alla mente la storia della conchiglia e il momento in cui Amato la raccolse.

La conchiglia, mollusco che ha popolato le acque dei mari fin dai primordi della vita, contrariamente a tante altre specie di animali definitivamente scomparse, ha resistito, protetto dalla sue valve fino ai giorni nostri. È stato nutrimento indispensabile per uomini e animali che ancora si alimentano di questo cibo succoso e saporito.

Per questa sua utilità e per le sue svariate forme è stata apprezzata da sempre. Venne usata non solo come ornamento della beltà femminile, ma anche come moneta di scambio.
La mitologia, che si è sbizzarrita ad inventare storie e dare significato a tutto ciò che ci circonda, non poteva non attribuire a questo capolavoro della natura un importante valore simbolico.
Partendo dalle acque dove è nata la vita, la conchiglia è simbolo di fecondità e maternità. Da essa nacque Afrodite (Venere), dea della bellezza dell’amore e dell’armonia.

Molti pittori, come Botticelli e Tiziano, hanno raffigurato questa dea che emerge dalla spuma del mare sopra una grande conchiglia.

La forma di alcune di esse, così simile ad un orecchio, la rendono simbolo dell’ascolto. Il Cristianesimo, che ha utilizzato le pietre dei vecchi templi pagani per edificare nuove chiese, ha anche usato la mitologia per l’insegnamento della nuova religione. Il mollusco ferito che produce la perla preziosa può spiegare molto bene come la sofferenza umana non sia fine a se stessa, ma unita a quella di Cristo si trasforma in tesoro inestimabile e produce frutti copiosi. La conchiglia ha la forma di orecchio per accogliere la perla preziosa della parola di Cristo Salvatore.
Nelle lingue di vari paesi europei il nome di questo mollusco conserva ancora memoria dell’uso che ne facevano i pellegrini. In Italia si chiama “capasanta” , in Francia “coquille saint-Jacques”, in Germania “Jacobs muschel” o “pilger muschel”.

Innumerevoli sono le testimonianze dell’uso costante che di questo simbolo facevano i pellegrini di Compostela; alcuni dicono che servisse come bicchiere, altri come cucchiaio, ma in realtà era il simbolo che veniva appeso sull’abito o sul cappello o, come fece Sant’Amato, alla borsa.
Il pellegrinaggio non si concludeva sulla tomba dell’apostolo San Giacomo, ma proseguiva sino all’oceano Atlantico, a Finisterrae che era ritenuta l’estrema appendice occidentale del mondo.
L’attrattiva di questo luogo era sempre stata grande. Lucio Florio narra che i legionari romani nel ll secolo d.C., ivi giunti, si erano fermati con grande timore ad osservare il tramonto del sole sull’oceano ed avevano eretto un altare per adorare il tramonto stesso.
Così anche i pellegrini ripercorrevano quei sentieri antichi, ma con uno spirito nuovo. Si fermavano su quello scoglio di scuro granito, sferzato continuamente dalle onde, con l’animo aperto al divino che si manifestava nell’infinita distesa dell’oceano dove cielo e terra si fondevano come segno tangibile dell’unione dell’uomo con Dio.
Allora il ricordo di questo momento irripetibile si materializzava in quella conchiglia che le onde avevano depositato sulla sabbia e che, raccolta, diventava la testimonianza concreta del loro lungo viaggio.

Luigi Calesini