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Caino e Abele secondo Metastasio

Gaia Petrone Ph Melandri

 

La morte d’Abel, oratorio di Antonio Caldara del 1732, proposto in prima esecuzione moderna a Lugo per il Festival Purtimiro 

LUGO, 13 ottobre 2017 – Tra gli appuntamenti più attesi del Festival Purtimiro, La morte d’Abel, Figura del Nostro Redentore, proposto in prima esecuzione moderna al Teatro Rossini di Lugo, è stata una preziosa occasione per ascoltare un altro pregevole inedito del periodo barocco. E le opportunità di conoscere la produzione di Antonio Caldara, fra i massimi esponenti dell’ultima stagione del melodramma italiano prima della svolta legata alla riforma di Gluck, sono di quelle irrinunciabili.

Concepito per Vienna nel 1732, questo oratorio in due parti appartiene all’ultima stagione creativa del musicista veneziano che, secondo le consuetudini dell’epoca, dopo una vita itinerante si era ormai definitivamente stabilito nella capitale austriaca. Il testo di Pietro Metastasio, che verrà poi intonato da numerosi altri compositori, si basa sulla ben nota vicenda biblica della rivalità fra i due fratelli: qui Caino uccide Abele perché Dio non aveva apprezzato i frutti della terra da lui offerti; ma, al di là di ragioni contingenti, la psicologia dei due personaggi – così come quella di Eva, dolente figura di madre – è molto ben indagata dal libretto.

L’organizzazione prevede la consueta alternanza di arie con ‘da capo’, che si avvicendano con recitativi – ai quali partecipano più personaggi – dove già sembra d’intravedere qualche embrionale forma dialogica, mentre i momenti corali sono riservati esclusivamente ai due finali, entrambi splendidi: il primo forse ancor più asciutto e affascinante; il secondo, con le sue suggestive imitazioni vocali fra soprano, alto, tenore e basso, sorprendentemente innovativo. Tanto da chiedersi – e in sala, a Lugo, sembravano domandarselo in molti – se Caldara avesse ascoltato Bach, peraltro più giovane di quindici anni. È più probabile, però, che la padronanza dello stile imitativo gli derivasse dalla collaborazione con Johann Joseph Fux (l’autore del famoso trattato di contrappunto e fuga Gradus ad Parnassum), di cui Caldara a Vienna faceva le veci come maestro di cappella.

Di fronte a tanta modernità viene da porsi qualche domanda su come la musica barocca vada riproposta oggi. Il rispetto un po’ troppo rigido della filologia non sempre conduce a risultati appaganti sul piano sonoro (tre secoli di musica hanno inciso tracce profonde sulle nostre modalità di ascolto). Un’esecuzione strumentale a parti reali, come questa di Lugo, corre il rischio di risultare troppo scabra, senza consentire un’ampia varietà dinamica e una sufficiente ricchezza di colori, nonostante gli ottimi strumentisti di Concerto Italiano – nove, compreso Rinaldo Alessandrini, concertatore al cembalo – si siano adoperati per dare il meglio in termini di pienezza fonica.

Il mezzosoprano Gaia Petrone – Ph Melandri

Lo stesso vale per le voci. Ci si può chiedere, dunque, se sia il caso di accontentarsi d’interpreti che non riescono ad andare oltre una generica correttezza e precisione, accomunati da emissioni fisse che spesso vanno a discapito dell’espressività. Un peccato tanto più grave tenuto conto che il ruolo di Abele era stato concepito da Caldara per il leggendario Farinelli, assurto a simbolo – almeno nel nostro immaginario – dei funambolici virtuosismi vocali del barocco (famosa è l’aria Quel buon pastor son io). Così, nell’esecuzione, è spesso andato perso il significato delle parole, tenuto conto che a Lugo mancava un programma di sala dove seguire i versi di Metastasio, con un certo danno per il coinvolgimento emotivo dell’ascoltatore. Alle prese con i virtuosismi vocali di Abele era Sonia Tedla: con lodevole precisione è riuscita ad essere espressiva soprattutto nei recitativi. Insignita di tre arie anche Eva, personaggio cui Monica Piccinini ha cercato d’imprimere una certa caratura drammatica. La giovane Alessandra Gardini ha affrontato con esile voce le due arie dell’Angelo; Mauro Borgioni, come Adamo, si è dovuto misurare in una scrittura troppo bassa per lui, mentre più adeguato appariva il tenore Gianluca Ferrarini, i cui interventi si limitavano, per motivi di contrappesi musicali, ai soli due finali d’atto. Bravissima invece il mezzosoprano Gaia Petrone: si potrà forse obiettare che il suo ricorso al canto di portamento, unito a un’emissione non indenne da un certo vibrato (più congeniale ad altri repertori), erano parzialmente fuori stile. Resta il fatto che ogni singola parola diventava perfettamente intellegibile e il personaggio di Caino assumeva, con lei, un potente rilievo drammatico: a spingerlo al fratricidio sono l’invidia e il fastidio verso un fratello troppo perfetto. O, almeno, preso da tutti a modello di perfezione.

Giulia Vannoni