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La mia vita da 007

Truffe assicurative. Investigazioni segrete. Casi da risolvere. Quella che può sembrare la trama di un film di James Bond è, invece, la vita che Giuseppe Gravé (nella foto sotto), 56 anni, conduce ogni giorno a capo della sua azienda investigativa: la Cosmopol Secret Service.

Com’è nata la sua azienda?
“Nasce nel lontano 1993. All’inizio ero solo un dipendente, poi, nel 2004, ho rilevato una quota societaria e nel 2005 ho ottenuto personalmente la licenza di «Investigatore privato» e nel contempo ho liquidato i soci rimanendo l’unico proprietario. A fine 2006, oltre alla licenza normale, mi è stata data dalla Questura anche la licenza di investigatore penale”.

Cosa l’ha spinta a diventare un investigatore?
“Ho iniziato per caso, ma poi mi sono appassionato e ne ho fatto la mia professione. Mi piace il fatto che non lavori mai nello stesso posto e gli incarichi sono sempre diversi dai precedenti, cosa che ti stimola a trovare nuove soluzioni ai problemi che inevitabilmente si incontrano ad ogni incarico”.

Che genere di servizi offre?
“Ci occupiamo di servizi investigativi rivolti ai privati e non solo. Lavoriamo per le maggiori aziende assicuratrici in Italia, che sono la Unipol, la Reale, l’Italiana, la Linear, l’Assimoco e altri gruppi, indaghiamo su eventuali truffe e ci accertiamo che gli eventi siano conformi a quanto dichiarato. Lavoriamo inoltre per grandi gruppi per ricerche commerciali, frodi e difesa marchi registrati. Per quanto riguarda il reparto security, ci occupiamo di convention dove la sicurezza è richiesta per gestire sia i flussi sia la sicurezza degli invitati”.

Quali sono le richieste che ricevete più spesso?
“I casi assicurativi sono giornalieri e la maggior parte delle volte si tratta di ricerche di prove e di accertamenti dell’evento, situazioni dove si pensa che ci possa essere una frode. Riceviamo l’incarico e vediamo, se possibile, di arrivare al dunque con prove certe. Nell’ambito investigativo le richieste sono, invece, per lo più di controllo dipendenti in ambito aziendale e controllo minori. Diciamo che, chi si rivolge a noi, sono solitamente imprenditori, o comunque persone che hanno da pensare, oltre al divorzio, agli alimenti e a tutto quello che c’è dietro a livello di soldi, e perciò abbiamo a che fare con persone che gestiscono grossi patrimoni”.

Qual è stata la richiesta più strana che vi è capitata?
“Diciamo che di richieste di questo tipo ce ne arrivano tante, specialmente quando la gente guarda i film dove c’è qualche investigatore e il giorno dopo siamo subissati di telefonate, perché in tanti pensano che si tratti di un gioco, ma poi si rendono conto che non è possibile attivare un servizio investigativo solo per togliersi qualche sfizio e che ci sono regole precise da seguire perché questo possa essere effettuato”.

C’è mai stato qualche incarico che non avrebbe voluto seguire?
“Certamente. Me ne viene in mente uno: dovevamo seguire una persona per una presunta molestia su una bambina. In seguito, purtroppo, abbiamo scoperto altro, perciò abbiamo passato tutto alla polizia per un caso di possibile pedofilia”.

Quali strumenti utilizzate maggiormente?
“Il classico pedinamento: sia statico sia dinamico. A volte, se necessario, ci avvaliamo anche del GPS, che è legale dal 2010 a seguito della nuova riforma. E poi macchine fotografiche e tutto ciò che riguarda riprese video. Agli inizi utilizzavamo anche delle radio per la comunicazione, ma adesso ci sono i cellulari”.

Quali sono le regole più importanti da rispettare nel suo lavoro?
“Sicuramente agire nella legalità, perché è un attimo fare cose che ti possono mettere in difficoltà: che sia dalla semplice foto senza coinvolgere minori, o che sia un pedinamento che non vada a finire in una azione di stalkeraggio. Perché è vero che la legge ci dà il permesso di pedinare, ma bisogna anche rispettare i limiti e non esagerare. Inoltre ci deve sempre essere un legame tra il cliente e la persona che si deve seguire, non si può seguire una persona a caso semplicemente perché il cliente vuole che tu segua un determinato soggetto. In questo caso si andrebbe, infatti, a ledere la privacy di un individuo senza una motivazione: nonostante ciò, molti lo fanno comunque pur di trarne guadagno”.

Quali sono i principi fondamentali che ogni investigatore dovrebbe seguire?
“Un buon investigatore deve mantenere discrezione e rispettare la privacy del cliente, perciò non bisogna assolutamente divulgare quello che vedi e con più di 4.500 incarichi, di cose ne vedi (ride di gusto). Riservatezza, questo è quello che dovrebbe contraddistinguere tutti, poi, che lo si faccia o meno, dipende dalla persona”.

Quali sacrifici implica il suo lavoro?
“Spesso capita di stare fuori una notte intera, altre, addirittura alcuni giorni, e questo sicuramente non giova alla famiglia. Però fa parte del nostro lavoro”.

Come descriverebbe un’investigazione tipo?
“Si parte sempre con un pedinamento, che sia poi statico o dinamico dipende dal caso. Poi, solitamente dopo 2-3 giorni, si decide se applicare dispositivi elettronici o meno, ad esempio GPS, ma solo se è il caso di farlo, altrimenti si va sempre sul pedinamento classico e ricerche sui social o quant’altro. Ormai le persone postano di tutto e a volte si trovano tracce di uomini e donne che neanche li usano, ma che vengono comunque coinvolti da amici o parenti a loro insaputa. Tutto questo ci porta a visionare decine di profili e centinaia di foto”.

Ha mai rischiato di compromettere un’investigazione?
“Personalmente no. Però può accadere e sarebbe una cosa normale. Proprio per questo si deve valutare prima il caso: Chi segui? Chi è? Che lavoro fa? A seconda dei casi specifici si deve avere più, o meno, attenzione e attivare magari più personale. Solo nei film non li beccano mai, mentre nella realtà può succedere. Devi essere pronto ad interrompere l’attività pur di non compromettere tutta l’indagine, preferiamo staccare e riprendere il giorno dopo, perché se ti notano o pensano che qualcuno li segua, poi tutto diventa più difficile”.

Ha qualche critica da muovere all’ambiente nel quale lavora?
“In Italia la mia professione dovrebbe essere valorizzata di più. Pensi che all’estero la figura dell’investigatore privato è vista come una risorsa in più dalle forze dell’ordine, ed è molto spesso correlata, per esempio, ad uno studio legale, mentre, in Italia, lo studio legale non può avere l’ufficio insieme all’investigatore, cosa che è in sé un controsenso in quanto noi lavoriamo spesso per gli studi legali”.

È mai successo che un incarico si rivelasse pericoloso?
“Quando segui una persona non sai mai chi hai di fronte, sai solo quello che ti racconta il cliente, che molte volte omette di dirti chi è veramente il soggetto o i luoghi che frequenta. Ovviamente lavorando in tutta Italia, a volte può capitare di trovarti in posti poco raccomandabili. Perciò ogni volta che si assume un incarico si cerca di avere più notizie possibili sul soggetto”.

È soddisfatto del suo lavoro?
“Al 100%, anche perché questo non è un lavoro che puoi fare solo per portare a casa lo stipendio, è un lavoro che richiede pazienza, perseveranza e una buona dose di intuito. Qui o ci metti l’anima, o non porti a casa nessun risultato”.

Agata Pivi