La mia Africa, tra vita e morte

    Cullava quel desiderio fin dalla gioventù. Poi, improvvisamente, si è aperto un varco nella sua vita in camice bianco, e quel desiderio si è concretizzato. E ha portato la dottoressa Maria Mauri, 54 anni, a vivere per un mese della sua vita in Africa, destinazione Etiopia, in qualità di medico volontario.
    Ciò che ha spinto la dottoressa a partire, dopo aver salutato i due figli (18 e 20 anni) e il marito (“era contento, nessun problema”, assicura), è il ricordo dell’esperienza giovanile di aiuto alle persone più deboli e al grande desiderio di tendere la mano a chi è maggiormente in difficoltà, nella miseria, nell’abbandono, nella povertà più assoluta.
    L’album dei ricordi africani è ancora nitido. “Dopo 48 ore di viaggio sono giunta ad Addis Abeba, dove ho alloggiato per un paio di giorni per abituarmi al clima e all’altitudine. – racconta il medico riminese – Subito vengo colpita da una cosa: noto una profonda differenza tra il mio alloggio, un convento di suore, e ciò che sta al di fuori delle mura: fogne a cielo aperto, odore di sterco secco utilizzato come combustibile per riscaldamento e per cucinare, famiglie che vivono in mezzo a discariche e si riparano solo grazie all’aiuto delle religiose con tetti di lamiera. Sono sconvolta…”.
    Trascorsi due giorni, insieme ad un gruppo di volontari partiti insieme, la dottoressa si addentra nella regione del Kambatta a sud-ovest. Per percorrere 400 km ci impiega 9 ore di jeep, su strade piene di buche e incontrando asini carichi di lattine di acqua, branchi di pecore smunte, capre belanti, mucche scheletrite, cani morti e file interminabili di donne nei punti raccolta per l’acqua. “Giunti a Wasserà, ecco apparire la clinica dove ho lavorato: è piccola, ma funzionale, vi arrivano cento pazienti al giorno con due infermiere e nessun medico, si fanno accertamenti per il tifo, la malaria, la parassitosi intestinale, la TBC, parti e medicazioni. La difficoltà maggiore era intervenire in tempo!”. Il medico riminese per 23 giorni ha proseguito l’attività tra l’altalena della vita e della morte, tra la speranza e lo scoraggiamento più totale per compiere al meglio la sua professione.
    “Ho dovuto fare i conti – ammette – con il mio senso di frustrazione, ricevendo un’importante lezione: il senso di onnipotenza del medico che spesso si sente un dio è stato bastonato, solo il vero Dio è onnipotente…”.

    Maria Concetta Selva