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La “fila” di Venanzio

Sono le sette precise del mattino e Venanzio, come al solito, si alza dal letto. Non è una mattina speciale per l’ottantenne geometra Venanzio Novembrini, nato a Martina Franca – Taranto – ex dipendente Enel e abitante a Rimini da circa vent’anni. La moglie, Chiara Luce nata a Ostuni (Brindisi), è una persona gentile, educata, umile, che ha parecchi anni in meno del marito (c’è chi dice che sia stata una fughina d’amore).
Per Venanzio oggi è una mattina abbastanza importante perché deve andare alla Farmacia dell’Ospedale a ritirare delle medicine che non si possono chiedere mutualmente alle farmacie private. Venanzio è un uomo alto, magro, meticoloso, caustico, addirittura un maniaco della puntualità.
Abita in viale Misurata in una casa di quattro appartamenti, di quattro proprietari, e i suoi rapporti con gli altri condomini sono solo civili, qualche volta appena cordiali. E anche con il ragionier Invasati, (riminese, di genitori pugliesi) pensionato di una importante società di assicurazione, c’è solo un rapporto di obbligata educazione. Tanto per chiarire, Venanzio precisa che non ha mai preso la patente di guida dell’auto, per non subire le angherie delle assicurazioni (ma Invasati ritiene invece che non l’avrebbe potuta ottenere perché il sussiegoso geometra ha un “tic” che gli fa battere quasi continuamente le palpebre). Forse ci sarà anche il fatto che Invasati, sapendo che non era obbligatorio avere un amministratore professionale in un edificio di soli quattro condomini, ottenne (anzi, pretese) di essere il più idoneo per tale incarico, oltre tutto gratuitamente (ma Venanzio non gradì quell’auto-incarico).

Anche Invasati, pure lui ottantenne, è sposato, ma figli e nipoti abitano altrove. Gli altri condomini sono: il signor Bernadeschi, mantovano quarantenne, sposato, con due figli di età scolare, che fa il carrozziere e dice sempre di essere preoccupato per il lavoro (ma Venanzio sostiene invece che è ossessionato solo dalle ricevute fiscali); e il signor Fabbri, riminese, quasi cinquantenne, rappresentante di una nota società straniera che produce profumeria, spesso assente per ragioni di lavoro, scapolo ma che cambia spesso fidanzata (l’ultima una bella ragazza rumena, che Venanzio sentenzia essere sicuramente un ex badante). Intanto sono le otto e due minuti e Venanzio è già arrivato alla fermata dell’autobus della linea 18 in via Vespucci, dove ci sono altre tre persone in attesa. L’autobus è quasi puntuale, con sette persone già presenti, fra le quali due studentesse sedicenni (che Venanzio giudica vestite in modo disdicevole).
Per lui però la preoccupazione è soprattutto che l’autobus arrivi puntuale all’ospedale per le otto e ventisette minuti, perché la farmacia apre alle otto e trenta, e c’è sempre una fila di
persone in attesa (come alla Mutua, alla Posta, al Pronto soccorso, ecc.). Tanto che si stava rammaricando di non essere partito con la corsa precedente che arriva all’ospedale alle sette e
cinquantasette minuti e forse sarebbe stato il primo all’apertura della Farmacia. Siccome ad ogni fermata c’è chi scende o deve salire, per Venanzio è un tormento, con gli occhi
puntati sull’orologio. E quell’uomo grasso, forse sessantenne, che era salito solo due fermate prima e stava lentamente scendendo, Venanzio l’ha guardato con un atteggiamento di disprezzo, perché, secondo lui, sarebbe potuto andare benissimo a piedi dove doveva recarsi (gli avrebbe fatto anche bene camminare, visto il suo peso).

Poi, ad ogni fermata la sofferenza per Venanzio cresceva; ed è scoppiata la rabbia, mentre una signora con una borsa piena di spesa, si stava apprestando a scendere alla fermata in via Chiabrera. Venanzio l’ha apostrofata incattivito: “Ma lei, non poteva scendere alla fermata dell’ospedale che è qui vicina?”. La signora è rimasta talmente sorpresa da quell’inaspettato rimprovero, che non ha replicato. Inoltre, lui manda mentalmente – e poco cristianamente – all’inferno una donna africana, non per il suo “colore”, ma solo perché è salita alla fermata della rotatoria prima dell’ospedale.
Dove finalmente l’autobus arriva e Venanzio può entrare in Farmacia: sono le otto, trentatre minuti e otto secondi. Le persone che attendono il loro turno (la fila), sono solo quattro. Il geometra Venanzio Novembrini, si toglie il cappello, si siede vicino ad un giovane handicappato e riacquista subito il suo aspetto di civile, paziente e comprensivo pensionato ottuagenario.

Amos Piccini