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La fabbrica dei Templari nel Montefeltro

La rocca di San Leo, da qualche tempo, accanto alle rituali rievocazioni cagliostresche ospita con frequenza incontri, serate, raduni ispirati ai Templari. Ma chiunque guardi il mondo dell’esperienza religiosa contemporanea con un po’ d’attenzione conosce il proliferare di organizzazioni dai nomi altisonanti che si propongono di concedere iniziazioni cavalleresche, o ammissioni ad Ordini cavallereschi, sia a fini di lucro che di diffusione di dottrine pseudo-iniziatiche di radice sincretistico-massonica. Il riferimento al celebre Ordine del Tempio o Templare è in quest’ambito il più frequente, ma non unico; e per mezzo del preteso collegamento “ideale” o “occulto” con l’Ordine del Tempio diverse organizzazioni e conventicole attirano un vasto pubblico composto soprattutto da giovani, all’interno di ambienti in cui vengono diffuse dottrine, leggende e teorie che è fin troppo facile ricondurre al supermarket del sacro new age, variegate fra loro ma accomunate da ispirazioni schiettamente anticattoliche di radice massonica.
Questo proselitismo, che è un manifesto esempio di tutte le contraddizioni di quell’“esoterismo di massa” che costituisce il segno più proprio del supermarket del sacro contemporaneo costituisce non solo per i cattolici, ma per la cultura, un doppio insulto. In primis nei confronti della Verità, storica e spirituale, che per il cristiano è Via e Vita incarnata in Gesù Cristo, e per la quale è bello combattere con le armi della testimonianza culturale e spirituale. In secondo luogo nei confronti di un’istituzione, quella cavalleresca, che ha accompagnato la nascita e l’apogeo della civiltà cristiana medievale traendo dal Cristianesimo rinnovata linfa spirituale dopo il crollo dell’Impero Romano d’Occidente, restando la spina dorsale della Res publica christianorum fino ed oltre alla Riforma e permanendo fino ai giorni nostri in essenza come Via sacrificale laicale.
Soffermarsi sulle radici autentiche della Cavalleria cristiana consente tuttavia di comprendere meglio le radici profonde di questo fascino che attraversa le nebbie della secolarizzazione per riportare migliaia di persone, giovani e meno giovani, verso secoli apparentemente lontani da noi, sovente malcompresi, quasi sempre sminuiti e disprezzati; questo disprezzo nei confronti del Medioevo evidentemente non riesce a disinnescare l’attrazione evidente in moltissime manifestazioni della cultura contemporanea di massa, specie giovanile, fondandosi sull’alterità di quel mondo rispetto al nostro mondo, e soprattutto sui valori che, aldilà ed attraverso ogni ben nota umana infedeltà, l’hanno retto per un millennio: che sono alla fine i valori del Cattolicesimo romano, quelli per cui Hilaire Belloc poteva concludere il suo celebre saggio L’Europa e la fede col folgorante aforisma «La Fede è l’Europa, l’Europa è la Fede». Beninteso di una “sopravvivenza occulta” dell’Ordine templare storicamente non si può parlare perché la storia si fa con le fonti documentarie; in mancanza di fonti certe, lo storico può solo proseguire la sua ricerca non chiudendosi aprioristicamente nei confronti di alcuna ipotesi, ma non scambiando neppure le ipotesi per indizi e gli indizi per fatti sicuri. Tra la fine nel ’300 dell’Ordine Templare e la sua ambigua rinascita nel ’700 esiste solo una ragnatela di ipotesi e di resoconti di terza mano. Sul piano canonico poi le cose sono ancor più chiare: il Papa era il solo a poter disporre la prosecuzione o lo scioglimento del l’Ordine; nessuna autorità, oltre la sua, poteva in ciò valere. A torto o a ragione, Clemente V esercitò tale autorità, e nulla autorizza a credere che l’abbia fatto con la riserva d’un permesso di prosecuzione segreta dell’Ordine. Solo il Papa potrebbe oggi pronunziare una parola rifondatrice o restauratrice: e francamente non se ne vedrebbero ragioni né storiche, né canoniche, né etiche. Qualunque eventuale e molto improbabile sopravvivenza dell’Ordine fuori o contro la volontà del pontefice o a sua insaputa sarebbe quindi illegittima.
La realtà del “mito templare” moderno sta quindi a dispetto dei suoi pretesi depositari nel mito stesso, che illumina le crisi filosofiche e culturali dell’Occidente tra ’700 e ’900. Studiarlo come parte della nostra età è utile e legittimo; illudersi d’incarnarlo come cuore d’una realtà medievale portatrice di chissà quali valori esoterici o filosofico scientifici, è del tutto gratuito. Il resto appartiene al folklore d’un certo sottobosco culturale nel quale alligna di tutto: dalla fantasy, all’horror, al business. Il resto, come scrive Franco Cardini, è illusione, semicultura e spaccio di patacche.

Adolfo Morganti
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