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La California di Elisabetta da Rimini

La terra delle opportunità. Da sempre, nell’immaginario collettivo, anche grazie alla ricchissima gamma di film e serie televisive arrivate sugli schermi da questa parte dell’oceano, gli Stati Uniti sono sempre stati considerati come una nazione d’oro, fatta di ricchezza, benessere e libertà. Una terra in cui chiunque, anche partendo dal più basso rango sociale, può realizzare i propri sogni, le proprie aspirazioni e desideri. Il cosiddetto “sogno americano”. E, tra gli elementi più conosciuti di questa lontana America, sempre grazie alla cultura popolare e all’immaginario collettivo, ci sono sicuramente la California, spesso considerata come un paese dei balocchi, la capitale mondiale del benessere e del divertimento e, da un altro punto di vista, il mondo dei grandi college, dove i giovani americani si mettono in gioco quotidianamente proprio per realizzare quel “sogno americano”.

Elisabetta Drudi (foto piccola) è una giovane riminese. Sposata e madre di ben cinque figli, oggi “fa la mamma a tempo pieno”, ma il suo percorso di vita rivela esperienze professionali di altissimo livello, tra dottorati di ricerca, laurea, master e insegnamento sui temi dei classici e delle materie umanistiche. Dove? Proprio in quei college statunitensi, attraverso una carriera che, dalla nostra Rimini e passando per Bologna, l’ha portata non solo a viaggiare per diversi Stati americani, ma ad arrivare proprio in California, dove oggi vive stabilmente con la propria famiglia.
Elisabetta ci racconta l’America di oggi, con le sue tante (e affascinanti) luci ma che, come naturale che sia, proietta anche ombre, difetti e fragilità.

Elisabetta, partiamo dall’inizio. Qual è stato il percorso che l’ha portata negli Stati Uniti?
“Sono arrivata negli Stati Uniti nell’agosto 2009, immediatamente dopo essermi sposata. Primo approdo, l’Università di Notre Dame a South Bend, nell’Indiana: io e mio marito abbiamo iniziato un Master in Italiano, che prevedeva, oltre a frequentare i corsi, l’insegnamento della nostra lingua agli studenti di livello ‘undergraduate’, corrispondente al nostro triennio, per intenderci. Alla fine dei due anni di Master io ho continuato il mio percorso a Notre Dame entrando in un PhD (dottorato di ricerca) in Classics (lettere classiche), che era stata la mia area di specializzazione nei miei studi universitari a Bologna. Durante questo periodo ho frequentato corsi e insegnato latino e letteratura classica, oltre a scrivere la tesi negli ultimi due-tre anni. Nel 2018 mio marito ha vinto una posizione temporanea come professore nel dipartimento di italiano a Vassar College, Poughkeepsie, nello Stato di New York: così ci siamo trasferiti assieme ai nostri figli e lì, nel maggio dello stesso anno, mi sono laureata”.

Di cosa si occupa a livello professionale? Com’è il mondo del lavoro statunitense?
“Dopo la laurea nel 2018 ho deciso di sospendere, almeno temporaneamente, la mia carriera universitaria per dedicarmi ai nostri figli, che in quel periodo erano quattro. La ricerca di lavoro nel campo delle ‘Humanities’, le discipline umanistiche, non è affatto semplice: il processo di domanda di lavoro è estenuante e negli anni immediatamente successivi alla laurea le posizioni che si trovano sono per lo più a tempo determinato, di uno o due anni. Così ho mandato avanti mio marito, che ha iniziato, come ho detto, a Vassar College nell’agosto 2017. Nel 2018 ci siamo trasferiti a Northampton, in Massachusetts, per un’altra esperienza di lavoro di mio marito di un anno presso lo Smith College”.

In un certo senso, quasi un’America ‘on the road’. Fino all’estate scorsa.
“Sì, l’estate scorsa ci siamo spostati di nuovo, questa volta attraverso tutta l’America, a Santa Cruz in California, perché mio marito ha iniziato a lavorare all’università qui. E questo è finalmente un lavoro a lungo termine. Nel corso di tutti questi spostamenti ho deciso di fare personalmente scuola ai miei figli, quello che in America si chiama ‘homeschooling’ (scuola a casa), per dare loro almeno un aspetto di stabilità in mezzo a tanti cambiamenti. Da circa un anno e mezzo, dunque, il mio studio e il mio tempo sono rivolti soprattutto a questo”.

Viene valorizzata molto la formazione scolastica a casa, negli USA?
“In America l’homeschooling è molto diffuso, e sta continuando a crescere. Non è difficile trovare persone con cui condividere il lavoro, o risorse per supportare i genitori che insegnano ai propri figli. In California ci sono persino scuole dedicate esclusivamente a famiglie che intraprendono la strada dell’educazione a casa: a chi è iscritto, la scuola fornisce soldi e aiuti didattici”.

Com’è la sua vita oggi negli Stati Uniti?
“Come dicevo, oggi mi occupo prevalentemente dei miei figli, ‘faccio la mamma’ a tempo pieno, che con cinque creature (l’ultimo è nato lo scorso agosto) significa avere ben poco tempo addirittura per pensare. Per questo motivo la California non mi dispiace affatto: tanto sole, pochissima umidità e temperature che per noi riminesi sono da primavera inoltrata (22-23 gradi di media), quindi tanto tempo per giocare all’aperto. Non credo che in Italia, con una famiglia così numerosa e un marito all’inizio della carriera accademica, avrei potuto permettermi di non lavorare e godere appieno del tempo con i figli. Questo è sicuramente un vantaggio dell’America, dove gli stipendi per alcune classi sociali permettono tutto questo”.

Ma non è tutto rosa e fiori.
“Dall’altra parte questa è una società dove l’assistenza sociale non è assolutamente sviluppata come in Italia: ci si deve arrangiare molto di più, e pensare nei minimi dettagli ad aspetti come l’assicurazione sanitaria, il sostentamento dopo la pensione, il college per i figli. Questo rende la vita molto più cara, e nonostante per molti americani questa ‘libertà’ sia motivo di vanto, un maggior intervento dello Stato a volte farebbe comodo. Forse questo è uno dei motivi per cui da una parte il senso del sacrificio e della fatica qui non fa così paura come in Italia, e dall’altra nella nostra esperienza di immigrati in America abbiamo sempre sperimentato una prontezza della gente attorno a noi ad aiutarsi a vicenda”.

Che rapporto avete con i cittadini statunitensi? C’è accoglienza?
“Gli americani non sono facili da conquistare, ma sono comunque pronti a dare una mano laddove ce ne sia bisogno. La nostra esperienza, principalmente nelle comunità cattoliche che abbiamo incontrato in questi anni, ma anche al di fuori, è di persone che facilmente sono entrate a far parte della vita e sono diventate come la nostra famiglia da questa parte dell’oceano”.

Il suo rapporto con Rimini: torna spesso? Cosa le manca della Romagna?
“Di Rimini mi mancano soprattutto la sua bellezza, gli amici e le persone più care, oltre allo stile di vita ‘rilassato’. Tornare ogni anno è diventato difficile per la nostra famiglia, ma i nostri figli amano comunque l’estate riminese”.

Per concludere: progetti per il futuro? Un futuro ancora a stelle e strisce?
“Al momento faccio fatica a fare progetti a lungo termine, ma mi piacerebbe tornare a studiare e lavorare in università o, in generale, nel campo dell’educazione. Il futuro sembra sempre più americano per noi (e la cosa tutto sommato non ci dispiace), a meno che non intervenga qualche elemento inaspettato ad invertire la tendenza. Vedremo, sarà quello che Dio vorrà”.