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L’amore che resta

Enoch (Harry Hopper, figlio di Dennis) ama “imbucarsi” ai funerali. Partecipa ai luttuosi eventi senza esserne coinvolto direttamente, attratto dalla morte e dalle “dipartite terrene”. Il suo unico amico è il giapponese Hiroshi (Ryo Kase) ma non esiste, in quanto amico immaginario. Ad un rito funebre incrocia Annabel (Mia Wasikowska) e tra i due nasce un legame sempre più profondo, destinato a spezzarsi ben presto per via dello stato di salute della ragazza, malata di cancro.
L’amore che resta è l’ultimo, bel film di Gus Van Sant. Lo ha scritto l’attore Jason Lew e lo ha diretto il regista di Elephantche ha sempre un occhio di riguardo per il “pianeta giovani”. A Van Sant interessano gli stati d’animo, le lacerazioni, gli ardori, le contraddizioni degli adolescenti che ha sempre raccontato analizzando le varie sfaccettature e le numerose tensioni. E in questa pellicola è bravissimo a non scendere mai nel lacrimevole a tutti i costi, ad accendere il cuore dello spettatore con una love story certo dolorosa per l’esito, ma capace di guizzi divertenti e di virate impreviste ed imprevedibili, nel segno di un costante e bellissimo pudore narrativo. L’amore resta, rimane, e nel percorso di Enoch e Annabel non ci sono gli “strazi” arrovellanti del melodramma d’amore a tutto tondo, ma la delicatezza e la poesia di due giovani anime che fanno un pezzo di strada insieme, e provano, anche se il finale lo intuiscono, a mettere in secondo piano la morte.
Annabel disegna uccelli, Enoch si confida con il suo “amico fantasma”. Lei vive con la madre e la sorella (è quest’ultima che si prende cura di lei), lui con la zia (i genitori sono periti in un incidente). Curiosamente un film molto più “vivo” di tanti altri episodi sui giovani perché in quella coppia c’è la voglia di non sprecare nemmeno un attimo di un’esistenza.

Cinecittà di Paolo Pagliarani