Home Storia e Storie James Anterbridge e quel triste, ultimo viaggio

James Anterbridge e quel triste, ultimo viaggio

Da cosa nasce cosa. La lettura di alcune righe lette su un libro, che riportavano quanto avevano visto due ragazzi durante il periodo bellico, sono state lo spunto per avviare questa ricerca. Qualcuno aveva visto la salma di un giovane soldato alleato nella camera mortuaria della Colonia Marina Murri, a Bellariva di Rimini, utilizzata in quel periodo come Ospedale Militare per i soldati italiani tornati dal fronte greco. Da quanto risulta sino ad oggi, si dovrebbe trattare del primo militare alleato, deceduto nella nostra città, durante la II Guerra Mondiale. Ecco quanto è emerso dalle ricerche.

L’inizio della storia
Durante la lettura del bel libro La mia Bellariva, scritto da Enzo Corbelli, ricco di interessantissime informazioni sulla frazione dove anche io sono nato, corredato di numerose e splendide fotografie delle persone che vi abitavano e che hanno fatto la storia di quei luoghi, mi sono imbattutto in una notizia che ha stimolato la mia curiosità.
A pagina 191, Ilio Mulazzani racconta:
«Non ricordo come e per quale motivo ebbi quel ruolo, resta il fatto che quando la colonia funzionò come ospedale militare io ero il chierico del cappellano militare. Avevo poco più di undici anni, servivo le funzioni religiose ed ero perciò conosciuto un po’ da tutti. Molti ricoverati si servivano di me per dei piccoli favori, come andare al bar a prendere bevande o dal tabaccaio a prendere le sigarette. Spesso venivo ricompensato con gli spiccioli rimanenti. Ricordo molto bene la diversità tra le varie funzioni religiose in quel periodo. La messa vedeva la partecipazione numerosa dei ricoverati i quali seguivano con raccoglimento le varie fasi. I funerali erano invece tutt’altra cosa: raccolti attorno al feretro alcune volte c’erano solo pochi familiari vestiti di nero, piangenti e altre volte invece, sempre attorno alla bara, qualche suora ed alcune crocerossine. Attorno agli ospedali, quasi invisibile, un servizio di vigilanza non permetteva a nessuno di avvicinarsi, ma, nascosti dalle dune noi ragazzini riuscivamo a farla franca e questo succedeva più che altro verso sera, quando venivano proiettati i film per i ricoverati. Così, mischiati tra loro potevamo vedere le proiezioni. Un giorno si sparse la voce che da un treno bestiame carico di prigionieri inglesi, provenienti dal sud, giunto in prossimità di una galleria fra Gabicce e Cattolica un gruppo di essi si era dato alla fuga. I tedeschi spararono sul drappello e uno dei prigionieri rimase ucciso. Io ebbi modo di vedere questo militare morto nella camera mortuaria dell’Ospedale Murri: disteso su un tavolo a torso nudo con i pantaloni lunghi e gli scarponi nei piedi, se ne stava lì privo di vita. L’abbigliamento anche se limitato al solo pantalone, era chiaramente diverso per fattura e colore, da quello indossato dai soldati finora visti. … ritornai a vederlo accompagnato da un amico, Gino Muratori».

Il superstite
Di quei due ragazzini, oggi possiamo parlare solo con Gino Muratori, Ilio purtroppo non è più tra noi. Con lui non ho avuto la possibilità di parlare di queste cose. Con Gino, con il quale in passato mi ero già incontrato, facendomi raccontare i suoi ricordi del periodo bellico, di questo specifico episodio durante il nostro colloquio non era emerso nulla. L’ho chiamato al telefono e mi sono fatto raccontare un primo sintetico racconto su cosa ricordava di quel giorno, poi ci siamo incontrati per approfondire l’argomento.

I ricordi di Gino Muratori
«Ilio Mulazzani, era mio amico di infanzia, eravamo entrambi nati nel 1929. Un giorno mi ha detto di aver visto il cadavere di un soldato inglese nella camera mortuaria della Murri allora adibito ad ospedale militare per i nostri soldati tornati dal fronte. Era stato ucciso mentre fuggiva da un treno che stava trasportando dei prigionieri. Siamo andati subito a vederlo. Era steso su un tavolo nella stanza adibita a camera mortuaria, ubicata sul lato Nord dell’edificio, quello che dava sulla piazzetta Gondar. Vestiva solo i pantaloni e sul petto nudo erano visibili i vari fori, forse cinque, che lo avevano ucciso. Era molto giovane. Mentre lo guardavo, pensavo a sua madre che ancora non sapeva nulla su quanto era avvenuto. Si diceva che il treno su cui viaggiava quel giovane inglese si era dovuto fermare, o rallentare in prossimità della Colonia Novarese, a Miramare. Lì, il giovane soldato aveva tentato la fuga rimanendo ucciso. Non ho mai saputo dove lo abbiano portato. La camera mortuaria della Murri lavorava molto, capitava spesso infatti che tra i tanti feriti presenti nella struttura, qualcuno non riuscisse a sopravvivere».
Pensando a quello che mi aveva raccontato Gino Muratori, mi sono chiesto: “Se quel militare era stato ucciso a Rimini, quando ancora era in funzione l’ospedale militare, doveva essere stato tumulato quasi sicuramente nel nostro cimitero”. Era una storia interessante, perché non provare ad approfondirla? Il primo passo da fare era quello di verificare se tra la documentazione del cimitero vi era la registrazione della tumulazione di uno straniero durante il periodo bellico. Senza questa traccia, la ricerca sarebbe terminata prima di poter iniziare. Appena ho trovato un attimo di tempo, mi sono recato in quell’ufficio a sfogliare il grande registro.

La storia
Alla riga 160, relativa al 1 Maggio 1943 vi era scritto il nome di James Anterbridge nato il 5 settembre 1922, deceduto nell’Ospedale Militare Murri. Alla pagina seguente, nelle note, è riportata la seguente dizione: “Prigioniero inglese ucciso dai carabinieri perché fuggiva”. Era sicuramente lui. Uno degli impiegati dell’ufficio, l’amico Maurizio Giovanardi, mi ha riferito che da quanto si poteva desumere dalla documentazione consultata, il corpo di quel ragazzo doveva trovarsi ancora nel nostro cimitero, in quanto nel registro non vi era riportata nessuna annotazione sulla traslazione della salma in altro luogo. In effetti su quella riga c’era un asterisco ma non si capiva a cosa fosse riferito perché in nessuna parte della pagina era presente un’annotazione riferita a quella posizione. Se le cose stavano così, le spoglie di Anterbridge dovevano essere finite nell’ossario, dopo i fatidici dieci anni, perché nessuno si era interessato a lui.

“Caduti” nel dimenticatoio?
Come era possibile che ciò fosse avvenuto? Rimini era stata conquistata dagli alleati nel settembre del 1944 e vi erano rimasti sino all’estate del 1947. Durante la loro permanenza nessuno era venuto a conoscenza di quanto era avvenuto nel 1943 ad un loro commilitone? Il fatto poi di avere ad appena sette chilometri da Rimini un cimitero di guerra alleato, quello di Coriano, e di scoprire che la salma di James fosse ancora in un cimitero civile dopo oltre settanta anni, mi faceva pensare che qualcosa non fosse andato per il “verso giusto”. Si erano dimenticati tutti di lui?
In effetti, James era deceduto nel maggio del 1943, quando gli alleati non erano ancora sbarcati in Sicilia, quindi poteva essere verosimile che questa storia fosse passata in “sordina” se le forze armate italiane non avessero informato qualcuno, la Croce Rossa Internazionale ad esempio, su ciò che era accaduto a quel prigioniero di guerra.
Vista la situazione, mi sentivo in dovere di approfondire questa storia per onorare la memoria di quel giovane militare, che avrebbe dovuto avere almeno una degna sepoltura assieme ai suoi commilitoni in un cimitero di guerra. Chi poteva essere quel James Anterbridge? Un soldato dell’esercito inglese catturato in Africa Settentrionale? Un marinaio di una nave affondata in Mediterraneo o un aviatore di un aereo abbattuto? In ogni caso, si tratterebbe della prima vittima alleata deceduta nella nostra città, un triste primato purtroppo. Per dare una risposta a questi interrogativi, ho pensato come prima cosa, di contattare l’ente che gestisce i cimiteri di guerra alleati in Italia, il C.W.G.C. (Commonwealth War Graves Commission) di Roma, per metterli al corrente su quanto avevo trovato ed il 23 marzo ho inviato a quell’ufficio una mail con i dati su James.

Comincia la ricerca
Qualche giorno dopo mi è arrivata la risposta. Purtroppo quel nome non risultava nei loro elenchi dei caduti, e nemmeno tra quello dei dispersi. Per poter avviare le indagini mi veniva detto che avrei dovuto dare all’ufficio la certezza che si trattava di una persona la cui nazionalità era di uno dei paesi del Commonwealth, ma io non potevo farlo con i dati in mio possesso.
Ho pensato allora di rivolgermi all’ambasciata britannica di Roma. Mi rispondono: “La ringraziamo per la Sua cortese email e per le Sue valorose ricerche. Qui all’Ambasciata non ci occupiamo direttamente di casi come questi e non conserviamo documenti storici di questo genere. Abbiamo una commissione apposita che lavora in tutto il mondo proprio in casi come questo. La commissione si chiama “Commonwealth War Graves Commission (CWGC)” ma, siccome hanno innumerevoli casi di ritrovamenti legati alla Prima e Seconda Guerra Mondiale, penso che prima di avviare qualsiasi procedura loro abbiano bisogno di qualche prova che quei resti siano proprio di un soldato del Commonwealth”.
Ero rimasto un po’ sconcertato soprattutto per non essere riuscito a suscitare negli altri la stessa curiosità che era sorta in me in relazione a questa vicenda, così come ultimo tentativo, ho pensato di rivolgermi direttamente ad un ufficio del Ministero della Difesa Inglese. Se non “funzionava” nemmeno lì la cosa, avrei interrotto le ricerche, non potevo fare altro.

La storia continua…
Daniele Celli