Home Storia e Storie Io, scolaretto privilegiato

Io, scolaretto privilegiato

Se ancora oggi è possibile adempiere all’obbligo scolastico sotto la guida del genitore che tutela l’istruzione (così funzionava anche nel Riminese la scuola genitoriale), l’esperienza che racconteremo in questa pagina, e che ho vissuto personalmente, è forse stata l’unica di questo tipo a Rimini.
Mi riferisco alla scuola elementare (oggi denominata primaria) che nacque presso la mia casa, Villa Sturani in P.zza Calboli a Viserbella. In questo edificio, fatto costruire nel 1914 da mio nonno, il Conte Luigi Sturani di Bologna, e già nostra abitazione, mia madre, la Contessa Margherita Sturani, e mio padre, il rag. Angelo Morolli, autorizzarono il Comune di Rimini, fin dal 1952, a collocarvi la scuola elementare. Dislocata in parte nell’ala più antica ed in parte in quella più recente, era costituita da cinque aule, complete di tutta l’attrezzatura scolastica: banchi, cattedre, armadietti e lavagne.

Che fortuna nei giorni di pioggia!
Qui, in quell’anno, iniziai la mia carriera di scolaretto elementare, a parte una brevissima esperienza in prima classe presso la pensione “Libera” situata a fianco dell’abitazione dei Zavatta. A dir la verità mi sentivo un po’ un privilegiato, anche se con qualche disagio, ascoltando anche le battute dei miei compagni che mi dicevano: “Sei fortunato, non ti bagni neppure! Mentre noi dobbiamo fare della strada per arrivare a scuola!”. Era proprio così: uscivo dal mio portone di casa per entrare, dopo pochi passi, in quello della scuola che era proprio di fianco.
Ricordo, di quei tempi, la cattedra della maestra con la predella sottostante (per sottolinearne l’autorità), gli enormi e pesantissimi banchi di legno, per gli alunni, a due posti con sgabellini incorporati, a dir la verità un po’ scomodi, e il relativo scrittoio in obliquo, con scanellature per riporre penna e matite.

Tra portacalamai e penne d’osso
Ricordo i libri e quaderni che scivolavano facilmente per terra causando un gran fracasso e i portacalamai con le vaschette in vetro che venivano riempiti quotidianamente d’inchiostro dalle bidelle (l’Adria Biagini, la Rina Succi, la Maria Donati, la Betti Aurelia, la Paolina Amaduzzi, la Maria “Marol” Della Vittoria e la figlia Elide) che si susseguirono nel tempo. In quegli anni, infatti, ancora non era stata inventata la penna a biro, ma vigeva la cara penna d’osso, con pennini di ferro, di varie forme, perennemente a rischio rotture, che, intinta d’inchiostro, se non ben usata, causava orribili macchie e sbavature non sempre rimediabili con le carte assorbenti che si trovavano all’inizio ed alla fine di ogni quaderno. Era necessario porre la massima attenzione nello scrivere, e forse anche per questo la calligrafia era molto curata.
Di bello c’era il ripiano sottostante allo scrittoio che conteneva di tutto, anche se allora avevamo solo due libri (quello di lettura ed il sussidiario) ed i quaderni. A proposito, per il rifornimento di quest’ultimi, quando andavano in esaurimento, non c’erano problemi: appena se ne finiva uno, si andava a comprarne un altro (rigorosamente con la copertina nera) dalla merceria accanto, quella della Tonina Della Rocca. Ricordo poi, che nel medesimo negozio, si acquistavano per Natale e Pasqua le tradizionali letterine di auguri, con tanto di lustrini da mettere sotto il piatto dei genitori, nel giorno della festività.

Quel gradevole odore di bruciato
Il riscaldamento nell’aula, nei mesi invernali, era garantito dalle famose stufe “Becchi” a legna che sprigionavano oltre al gran caldo, quel gradevole, caratteristico e aromatizzato odor di bruciato, che a noi scolari piaceva tanto. E poiché le bidelle dovevano girare in ben cinque aule, a turno, i compagni più volenterosi, s’incaricavano di attizzare il fuoco con nuova legna presa da una cesta che era in un angolo della classe. Questa, come le altre, era abbastanza affollata, conteneva sui 25 alunni poiché ancora si era nel boom delle nascite. Ricordo poi le pause per la ricreazione con il profumo intenso delle arance e dei mandarini portati da casa (non c’erano ancora le merendine) e degli sfilatini con affettati, che le bidelle, su richiesta, andavano ad acquistare al negozio alimentari di Ado ed Agnese Zavatta, per merenda. Oppure le scorpacciate di noci cadute dai due maestosi alberi del mio giardino, nel mese di ottobre, durante qualche ricreazione all’aperto! Ed ancora le caldarroste fumanti che ogni tanto le bidelle ci portavano in classe.

Lezioni, amici e insegnanti
Il tempo scolastico era scandito dalle tradizionali quattro ore di lezione (dal lunedì al sabato) dalle 8.30 alle 12.30. Iniziava con la preghiera per concludersi con il via libera dato dalla maestra al termine della mattinata. Ripenso alla mia classe e materializzo i volti dei miei compagni: Ecco Leo Rimondi (compagno di banco), Nino Clementi, Giovanni Bruschi, Marino Donati, Amerigo Lisi, Ivano Clementi, Leo Vittori, Giulio Mussoni, Giuseppina Perazzini, Giovanna Neri, Xenia Geminiani, Giuseppina Bevitori M.Rita Venturini, Carla Venturini. Ebbi come insegnanti inizialmente la maestra Elda Anelli di Rimini (dalla prima alla quarta elementare), poi la maestra Sirotti di Viserba (una delle insegnanti di mia sorella Luisa). Si alternavano, già allora, alle lezioni e alle interrogazioni lavori di gruppo e di ricerca, specie su argomenti storici o geografici, e l’impegno in classe proseguiva a domicilio, nel pomeriggio. Spesso, per questo lavoro pomeridiano, invitavo i miei compagni a casa per effettuare alcune ricerche sulle regioni italiane, dato che possedevo una delle prime enciclopedie, la “Labor” tanto per intenderci. All’insegnante unica si affiancava una volta alla settimana, di solito all’ultima ora del sabato, l’insegnante di religione che era il nostro parroco, don Guerrino Boschi, molto dialogante e assai preparato culturalmente, tanto che oltre all’argomento religioso, spesso spaziava su altre materie come matematica, storia e geografia e noi alunni facevamo a gara per rispondere alle sue domande, per dimostrare la nostra eccellente preparazione.
Tanti e tutti con grande esperienza e professionalmente preparati sono stati gli insegnanti che ebbero la cattedra a Viserbella nei vari anni. Ricordo l’Abbà, la Pollini, la Iole Ricciotti (insegnante di mia sorella Luisa), la Bruschi, 1’Ada Asciutti Perettini e poi subentrarono, oltre a mia mamma Margherita Sturani Morolli (insegnante, tra gli altri, di Paolo Guiducci capo redattore de il Ponte), la maestra Giuliani, i maestri Guido Enrichens e Bernardi, Benilde Mazza Vannucci, e ancora Assunta Pozzi Sammarini, la maestra Nicoletti e la maestra Ottaviani.

Il “trasloco” alle Medie
La scuola a casa mia rimase per lungo tempo, e fino al 1979 con alcune aule, quando poi si trasferì definitivamente nel nuovo edificio di via Petropoli, inaugurato nel 1968, oggi tuttavia adibito a sede dello “Scaion”, data la soppressione della primaria a Viserbella per mancanza di scolari.
Mi dispiacque non poco quando, più grandicello, dovetti lasciare la mia scuola-casa, per passare alle medie di Viserba nella pensione “Tennis” vicino ai giardinetti della stazione nel 1956. Passaggio non facile, perché all’epoca c’era un severo esame d’ammissione che consisteva in una prova d’italiano (il classico tema), in una prova di matematica (un problema con più domande) ed un’interrogazione che verteva su tutto il programma di quinta classe con l’aggiunta di dieci poesie e di venti biografie di personaggi storici da mandare a memoria. E, confesso: ritornando a casa, da Viserba, vedendo i miei colleghi più giovani con i loro bei grembiulini neri, con il colletto bianco ed il fiocco azzurro per i maschi e rosa per le femmine, su cui campeggiavano le iniziali del nome e tante righe bianche (da una a cinque per indicare la classe di appartenenza), spesso provavo nostalgia e verso qualche lacrimuccia per quella prima ed indimenticabile esperienza sociale nella mia casa-scuola.

Enrico Morolli