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Io, Saulo, detto anche Paolo

Dire che Paolo di Tarso è il personaggio dell’anno appare quasi banale. Da quando papa Benedetto ha indetto uno speciale giubileo per il suo duemillesimo compleanno il tam-tam della carta stampata, dei rotocalchi e dei media si è messo in moto. Persino su internet sono stati aperti, via via, molti siti che lo riguardano: il più visitato è http://paoloapostolo.wordpress.com.

Del resto San Paolo è stato sempre attentissimo alla comunicazione: tredici lettere inviate alle sue comunità, di cui sette dettate direttamente da lui; e ancora vari discorsi tenuti sulle piazze, negli stadi e nei mercati di tutto il mondo allora conosciuto. Una specie di biografia (i capitoli 9-28 degli Atti degli Apostoli) dedicata a lui dal suo discepolo Luca, il quale ha avuto a disposizione anche alcuni suoi ‘diari di viaggio’. E poi infiniti studi su di lui e sui suoi scritti, per non parlare infine dei dipinti a lui dedicati che lo ritraggono nelle molte vicende della sua vita.

Quest’ometto quasi calvo, con una barba da filosofo, non tanto alto ma vigoroso, sulla sessantina, dai marcati lineamenti mediterranei, impressiona per il suo tratto energico, la parola pronta, lo sguardo ora profondo, ora ironico. Si è fatto incontrare in una mattinata di sole, nel verde panorama della via Ostiense a Roma, nella solenne cornice dei ruderi imperiali, poco lontano da dove ha vissuto il suo martirio. Accoglie chi gli va incontro con un largo sorriso ed un vigoroso saluto che invita subito a saltare le formalità.

Anzitutto grazie per aver permesso questa intervista. Immagino che i suoi impegni in questo periodo si siano moltiplicati. Parto allora subito con la prima domanda che riguarda il suo nome. Noi siamo abituati a chiamarla Paolo, con il nome romano che lei usa nelle sue lettere, ma sappiamo che il suo primo nome era Saul, il nome del primo re di Israele. Quale preferisce?
“Guardi per me non è un grosso problema. Ovviamente quando ero piccolo in casa i miei mi chiamavano Saul e quindi il mio nome ebraico evoca in me una grande tenerezza. Nel mondo ebraico questo nome è un po’ altisonante… non so, come per voi il nome Giulio o Vittorio, ricorda il nome di un grande re e condottiero. Inoltre Saul è il nome con cui il Signore Gesù mi ha chiamato sulla via di Damasco (Atti 9,3) e questo non è un particolare da poco. È anche il nome con cui sono stato battezzato, almeno come lasciano intendere gli Atti degli Apostoli (9,17). Diciamo che il mio nome ebraico è quello della mia personalità più intima: mi dice le mie indelebili radici che affondano nelle promesse di Dio al popolo eletto, ma anche la scelta fondamentale della mia vita, quando il Signore nella sua misericordia mi è venuto incontro. Il nome Paolo, invece, o meglio, Pàulos, perché io l’ho sempre scritto e detto in greco, è il nome della mia vita esteriore, della mia vita di relazioni, dunque non è meno importante. L’ho ereditato da mio nonno, il quale come si sa era commerciante di cuoio e pellame (come del resto mio padre, ed anch’io). Aveva fatto grandi forniture di merce alla gens Emilia, la nobile famiglia romana che ha anche costruito la celebre strada che dà il nome alla vostra regione. Da questi rapporti con i Romani la mia famiglia aveva ereditato la cittadinanza romana (come molti a Tarso) e la possibilità dell’uso del loro cognomen, appunto “Paullus” che significa “piccolo”. Ho usato questo nome soprattutto per la sua dimensione internazionale, ed anche perchè mi avvicinava maggiormente alle genti di lingua greca e latina – i “gentili”, appunto ai quali ero stato inviato dalla comunità di Gerusalemme. E poi il fatto di chiamarmi “piccolo” mi richiamava un certo senso di umiltà. Io non sono tanto alto… ma davanti a Pietro, a Giovanni e Giacomo, a Stefano, ed a Gesù stesso, ho sempre pensato a ben altra statura!”.

Certamente il suo doppio nome segna anche una doppia cultura ed una maggiore capacità di dialogo col mondo di allora. D’altra parte stupisce scoprire nei suoi scritti citazioni di filosofi e poeti..
“Non esageriamo! Sulla mia cultura è stato detto molto, ma anche con qualche enfasi. Come ho scritto nella mia Lettera ai Filippesi io mi sono sempre sentito profondamente ebreo, come la maggioranza dei cristiani del mio tempo (del resto lo era anche Gesù e sua madre Maria). Anzi in quella lettera (3,4-6) proprio in polemica con alcuni giudeo-cristiani che si vantavano della loro appartenenza etnica e obbligavano i convertiti cristiani a circoncidersi l’ho detto a chiare lettere: “Se alcuno ritiene di poter confidare nella carne, io più di lui: circonciso l’ottavo giorno, della stirpe d’Israele, della tribù di Beniamino, ebreo da Ebrei, fariseo quanto alla legge; quanto a zelo, persecutore della Chiesa; irreprensibile quanto alla giustizia che deriva dall’osservanza della legge. Ma quello che poteva essere per me un guadagno, l’ho considerato una perdita a motivo di Cristo”. Quanto alla mia cultura greca (e romana) era una cultura media: ho frequentato le scuole greche di Tarso dove mi ero appassionato alla retorica, ai poeti greci e ai filosofi cinico-stoici; il lavoro nella bottega di mio padre mi aveva dato invece una certa conoscenza delle leggi e dell’amministrazione imperiale come si vede nel capitolo 13 della lettera ai Romani. Il mio greco era il greco corrente che si parlava nella parte orientale dell’Impero. Non nego che queste conoscenze mi hanno facilitato molto nella mia missione e mi hanno salvato da certi fanatismi. Del resto non ho mai fatto sfoggio della mia cittadinanza romana: l’ho usata in casi ben precisi e sempre con finalità legate all’evangelizzazione”.

Ma a Gerusalemme ha frequentato la scuola di Gamaliele il Vecchio (At 22,3)…
“Sì, mio padre voleva per me una formazione ebraica integrale, e come molti ebrei emigrati benestanti ha voluto che andassi nelle scuole “alte” di Gerusalemme. Gamaliele è stato un buon maestro, vicino alla scuola del moderato Hillel, aperto anche nei confronti dei vari movimenti religiosi del tempo… perfino verso i seguaci di Gesù come ricordano gli Atti (5,34-39). Insomma lui era un fariseo illuminato, al contrario di me che da giovane, prima dell’incontro col Signore a Damasco, ero veramente un intransigente. Dalla mia famiglia e da Gamaliele poi ho imparato i fondamenti della Legge di Mosè, ho imparato a leggere la Torah, i primi cinque libri della Bibbia, e i Profeti, soprattutto Geremia… la mia passione! È stato un patrimonio che mi sono portato dietro tutta la vita e che mi ha aiutato a scoprire negli scritti ebraici l’annuncio di Gesù Signore. Sembrerà strano, ma è proprio da una lettura così approfondita della Legge che ho anche imparato l’universalità dell’annuncio di Salvezza. Per cui quando ho incontrato il Signore Gesù Risorto ho potuto vedere come il suo insegnamento (che ho ricevuto dalle labbra dei miei compagni cristiani e poi dai “dodici” – perché Gesù non l’ho mai conosciuto nella sua vita terrena) fosse il compimento della Legge e della mia fede di ebreo”.

Ma prima dell’incontro di Damasco lei aveva già incontrato i cristiani, anzi li perseguitava.
“Ecco, mi aspettavo questa domanda. È per me ancora doloroso ricordare quanto ero zelante e testardo. Sì ho avversato e perseguitato i cristiani (ancora non si chiamavano così). Non nego che li avrei messi a morte, mi sembrava che tradissero un certo ideale di purezza e di elezione. Neppure ascoltavo gli insegnamenti moderati e prudenti del mio maestro. L’episodio più brutto è stato quando hanno ucciso il diacono Stefano (Atti 7,55-8,1). Io non partecipai direttamente alla lapidazione, ma preso dalla furia l’approvai cercando di rendermi utile nel custodire i mantelli benedetti dei suoi uccisori (erano mantelli per la preghiera che non potevano sporcarsi di sangue). Gesù mi è testimone che ho sempre davanti agli occhi quella scena: Stefano – un ebreo della diaspora greca come me – che invece di imprecare, piega le ginocchia davanti ai suoi uccisori sotto i colpi dei sassi e… li perdona. Avrei scoperto solo dopo alcuni mesi che così aveva fatto anche Gesù. Dato il mio carattere a volte un po’ focoso (il perdono non mi è mai venuto proprio spontaneo) Stefano è stato per me la prima immagine del vangelo! Sa, ho pianto molto nella mia vita ripensando a quella scena, ma mi ha sempre consolato pensare che proprio attraverso quel santo testimone si è aperta una breccia nel mio cuore, una breccia nella quale si è poi incuneata la grazia del Signore. Ma di questo parleremo nel nostro prossimo incontro…”
(1-continua)

a cura di Guido Benzi