Home Storia e Storie “Io sacerdote, sto dove la gente soffre”

“Io sacerdote, sto dove la gente soffre”

Avvicinarsi alla figura di Don Arcangelo Biondini, è per me ritornare indietro nel tempo e precisamente al momento del mio ingresso nella comunità cristiana: fu infatti il don che mi battezzò il 26 ottobre di qualche anno fa nella parrocchia di Viserba mare, (padrini mia cugina Rosella Morri e il commendatore e ragioniere Luzio Carlo, direttore, al tempo, dell’Ufficio Imposte Dirette di Rimini e collega di mio padre).
All’epoca, a Viserbella dove risiedevano i miei genitori, non c’erano né la parrocchia né la chiesa (queste sorsero solo nel 1950). A Viserbella veniva officiata, infatti, solo la celebrazione eucaristica, da don Pietro Lodolini, e solo nelle domeniche estive, presso l’albergo Belvedere, per i turisti. Per delineare sinteticamente la figura del don, mi sono ovviamente avvalso, da una parte, dei racconti dei miei genitori, e dall’altra della precisa testimonianza del caro amico dott. Quarto Bruschi, residente ora a Rimini, ma cittadino viserbellese fino al 1951, che conobbe personalmente, fin da quando era un ragazzo, questo sacerdote. Don Arcangelo, fu il primo parroco di Viserba dal 1927, così come è testimoniato nei documenti ufficiali che recitano <+cors>“Regnando sua Maestà Vittorio Emanuele III, per grazia di Dio e per volontà della nazione Re d’Italia, l’anno 1927, anno V, il giorno di sabato 29 Gennaio 1927, in Rimini, la Chiesa di Santa Maria di Viserba al mare nel Comune di Rimini (fu) eretta a parrocchia in base al decreto del Ministro di Grazia e Giustizia in data 16 maggio 1926, è stata conferita al sacerdote don Arcangelo Biondini, con bolla vescovile del 21 gennaio 1926, munita del Regio placet in data 17 agosto 1926”<+testo_band>.
Don Arcangelo nacque a Savignano sul Rubicone il 26 marzo 1889 ed era sostenuto da una grande fede, così traspariva ai miei occhi attraverso le sue omelie e i suoi gesti. Fu un prete, mite, affabile e generoso, molto amato dalla sua gente. Spesso e volentieri, negli anni del suo ministero, girava per le vie del paese, o stazionava davanti alla sua piccola chiesetta di mattoni rossi edificata fin dal 1910, intrattenendosi a parlare con i passanti, sempre con il fare gentile e con il sorriso che gli illuminava il volto. Cordiale, sempre disponibile ed in ascolto, seppe, in breve, conquistare la simpatia di tutti i parrocchiani e ben presto riuscì a radunare attorno a sè numerosi ragazzi e giovani che iniziarono a frequentare la chiesa e la sua casa.
Per molti di loro fu spesso come un secondo padre e prodigo di consigli, si dedicò con slancio, non solo formandoli cristianamente, con lezioni di catechismo – che avvenivano soprattutto in orario serale e al termine delle quali amava con loro giocare a carte – ma anche aiutandoli moralmente e a volte anche economicamente soprattutto per affrontare i costi degli studi dei ragazzi più volenterosi. Costituì in parrocchia il primo nucleo di Azione Cattolica giovanile e proprio dai suoi giovani, tra i quali vi erano Quarto Bruschi, Salvatore Pironi, Giovanni Semprini, Sergio Turchini, Ivano, Migani Oreste Chierico e Germano Gabrielli, vennero vari riconoscimenti tra i quali la conquista del labaro regionale nella gara regionale di cultura religiosa organizzata dall’A.C. della Regione.
Grazie a lui in parrocchia cominciò a diffondersi una speciale predilezione per il culto di Santa Rita. Per mano sua venne, inoltre, costituita una fondazione con il nome della Santa, assai apprezzata a livello diocesano, a cui pervennero molte offerte. Si impegnò, inoltre, con pazienza e lungimiranza, all’ampliamento della primitiva chiesa, che venne resa più spaziosa ed i cui lavori terminarono nel 1929, su progetto dell’architetto Meloncelli. Un’opera a dir poco doverosa visto che la chiesetta originaria era ormai insufficiente ad ospitare tutti, specie in estate quando ai parrocchiani si aggiungevano numerosi turisti italiani e stranieri.
Mi ricordo che aveva instaurato un ottimo rapporto sia con il vescovo Scozzoli che con il vescovo Santa che spesso lo vennero a trovare in parrocchia.
Visse, in prima persona, anche i momenti duri della Seconda Guerra Mondiale, nella quale non si risparmiò: si narra infatti che nonostante le bombe, egli si aggirasse per le vie del paesello per prestare aiuto a quanti ne avevano bisogno e per portare il proprio conforto spirituale. Non importava se era un civile di una fazione o dell’altra, un militare alleato o un tedesco, un amico od un nemico: per lui c’era l’uomo da soccorrere cristianamente. Così sfidando il fuoco incrociato, attraversando la linea del fronte, era sempre presente, agendo semplicemente per aiutare. “Sono un sacerdote e sto dove la gente soffre” diceva a chi gli chiedeva perchè affrontasse ogni giorno questi pericoli.
Parroco buono e d’indole generosa, animato da pietà cristiana, fu però anche deciso e puntuale quando, nell’immediato dopoguerra, il vescovo Santa gli affidò l’incarico di realizzare la chiesa in Viserbella nel 1950. Si dice che in questa occasione, incontrando i viserbellesi, ansiosi di vedere realizzata la loro aspirazione, pronunciò la frase: “La chiesa s’ha da fare”. E così fu: trovata la ditta Neri costruttrice, in soli quattro mesi, dall’agosto al dicembre del 1950 la chiesa di Santa Maria Assunta in Viserbella vide la luce. Don Biondini, mai nella sua vita si risparmiò e parroco per un trentennio, stante le precarie condizioni fisiche, lasciò di fatto la responsabilità della parrocchia solo nel 1954 a don Antonio Fillini, proveniente dall’Istria e precisamente da Cherso, e già suo cooperatore parrocchiale. Fu lui che continuò l’opera ed edificò l’attuale nuova chiesa, vasta, molto bella e più moderna a livello architettonico. Rimase comunque, fino alla sua morte, sopraggiunta il 4 novembre 1957, a Viserba, nella sua amata cittadina, vicino ai suoi parrocchiani, ai quali aveva dato tanto e dai quali aveva sempre ricevuto stima, solidarietà, amicizia ed apprezzamento per tutte quelle opere che, in silenzio, ma con il cuore, aveva realizzato per la Chiesa, per la sua chiesa e per i suoi parrocchiani viserbesi.

Enrico Morolli