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Inceneritore di Raibano – Che aria tira?

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Dove eravamo rimasti? Si parla dell’inceneritore, o meglio, del termovalorizzatore di Raibano,con una media di 100mila tonnellate l’anno di rifiuti bruciati. L’impianto Hera che si trova a Coriano è stato, in anni recenti, un tema caldissimo nel dibattito politico-sociale del nostro territorio. Da una parte le istituzioni nazionali e gli enti locali, ad affermare come la termovalorizzazione rappresenti la modernità, per quanto riguarda lo smaltimento dei rifiuti. Dall’altra, i numerosissimi comitati e le tante associazioni ambientaliste, a portare avanti la battaglia contraria, ritenendo che questa modernità non sia sostenibile, né per la salute dell’ambiente né per quella degli esseri umani. Dopo tante pagine di giornale dedicate, e altrettante parole spese sull’argomento, però, la “guerra” attorno all’impianto corianese ha trovato sempre meno spazio nell’arena del dibattito pubblico. Ma ora, in vista delle elezioni amministrative di Coriano e Riccione, è una guerra che potrebbe riesplodere, e occorre essere informati. Quindi, come in premessa: dove eravamo rimasti?

Un passo indietro…
Prima di tutto, occorre fare un piccolo passo indietro, riavvolgere il nastro di 12 mesi, fino a quella primavera del 2016 che vide siglarsi l’accordo che disciplina ancora oggi, e lo farà fino al 31 dicembre 2020, l’attività dell’impianto termovalorizzatore. L’accordo, firmato tra Regione Emilia Romagna e Comune di Coriano, prevede che la quantità di rifiuti, urbani indifferenziati e speciali di provenienza regionale, ammessi al trattamento dell’impianto possa raggiungere un massimo di 140mila tonnellate all’anno (regime sostanzialmente invariato rispetto a quello stabilito dalla disciplina precedente), con un possibile incremento di 10mila tonnellate ulteriori, solo laddove specificamente autorizzata da Arpae. Nell’accordo è, inoltre, regolato il rapporto con la Repubblica di San Marino: nella quantità complessiva di rifiuti trattabili prevista nell’accordo, sono inclusi anche quelli provenienti dal Titano. Titano che si impegna, esplicitamente, a corrispondere ulteriori 10 euro a tonnellata di rifiuti conferiti, a titolo di disagio ambientale, da suddividere tra i Comuni di Coriano, San Clemente, Misano Adriatico, Rimini e Riccione, che sono compresi entro un raggio di 4 chilometri dall’impianto.

Il casus belli
L’evento che più di tutti ha contribuito all’esplosione del dibattito e delle proteste è certamente da ricercare nell’anno 2014. Nello specifico, nell’approvazione del decreto legislativo numero 133 del 2014, il cosiddetto decreto Sblocca Italia. Perché? Perché, di fatto, è proprio questo il provvedimento di legge che porta all’istituzione di una vera e propria rete di impianti di smaltimento dei rifiuti e di recupero energetico su tutto il territorio nazionale, Coriano compreso. Andando ancora di più nello specifico, il maggiore accusato è l’articolo 35 del decreto, che introduce un complesso di norme volte a ridefinire sia l’inquadramento giuridico di tali impianti sia la procedura per la loro autorizzazione. E tutto questo in nome di una non chiaramente identificata modernità: “Gli impianti – recita l’articolo 35 – costituiscono infrastrutture e insediamenti strategici di preminente interesse nazionale, attuano un sistema integrato e moderno di gestione di rifiuti urbani e assimilati, garantiscono la sicurezza nazionale nell’autosufficienza, consentono di superare e prevenire ulteriori procedure di infrazione per mancata attuazione delle norme europee di settore e limitano il conferimento di rifiuti in discarica”. In questo articolo, il cuore di tutto il decreto, non c’è traccia, anche solo a livello informativo, dell’impatto che l’attività di incenerimento dei rifiuti può avere sull’ambiente circostante e sulla salute dei suoi abitanti.

La risposta ambientalista
Alla luce del decreto appena analizzato, non si è fatta attendere la risposta, agguerrita, di tutta la galassia dell’associazionismo ambientalista, sia a livello locale sia nazionale. In provincia di Rimini, soprattutto a Riccione grazie all’attività del Comitato Ambiente & Salute, le mobilitazioni sono state immediate, concretizzate nell’organizzazione di numerosi cortei di protesta e di attività di raccolta firme, per fermare l’articolo 35 del decreto Sblocca Italia. Col tempo, poi, il contrattacco ambientalista si è allargato ed organizzato sempre meglio, fino a portare le associazioni riccionesi ad unire le forze con il “Comitato No Inceneritori Forlì – Romagna”, dando alla protesta un carattere più omogeneo, di rilevanza regionale. Ma non è finita lì. La protesta si è ingrandita sempre più, fino a diventare una questione nazionale: queste realtà associazionistiche locali, infatti, sono entrate a far parte della rete Regionale Rifiuti Zero Emilia Romagna, a sua volta inserita nel movimento Zero Waste Italy, che si prefigge il compito di raccordare e coordinare tutte le iniziative “Rifiuti Zero” italiane, sia tra loro, che con quelle a livello europeo ed internazionale.

Le ultime novità
Con lo Sblocca Italia diventato attuativo nel maggio del 2016, il movimento Zero Waste Italy ha concretizzato tutti questi anni di proteste in un vero e proprio atto giudiziario, proponendo ricorso al Consiglio di Stato, per chiedere la legittimità giuridica dell’articolo 35 del tanto dibattuto decreto del 2014. “Il ricorso è stato presentato in tempo utile, a dicembre 2016, – conferma Natale Belosi, responsabile del Comitato Scientifico dell’Eco Istituto di Faenza e Coordinatore della Rete Regionale Rifiuti Zero – ma non siamo gli unici. Abbiamo deciso di agire per chiedere la completa abrogazione della previsione di utilizzare gli impianti di incenerimento come metodo di smaltimento dei rifiuti in tutta Italia. Al momento è tutto in mano agli avvocati, perché il ricorso deve procedere con i propri tempi. Ma continuiamo questa battaglia”.

La questione salute
Al di là delle questioni giuridiche, quale impatto ha, realmente, l’attività di incenerimento dei rifiuti sulla salute umana e ambientale? La domanda non è rimasta senza risposta. I comuni di Riccione e Coriano, attraverso un apposito accordo formale stipulato nel 2015, hanno conferito, nei rispettivi bilanci del 2016, 36.500 euro ciascuno per finanziare uno studio scientifico che analizzi i livelli di inquinamento prodotto dall’inceneritore sull’ambiente. Lo studio viene affidato ad un soggetto terzo, l’Università di Modena/Reggio Emilia, che lo svolge in 3 atti, prevedendo di pubblicare risultati ogni anno, fino al 2019.

I primi risultati sono stati resi pubblici poche settimane fa e, a dirla tutta, non hanno portato ad esiti sconvolgenti.
Da una parte è stato dimostrato che il danno dovuto alla raccolta differenziata è inferiore a quella della indifferenziata, dando ulteriore prova che la modernità è rappresentata dalla differenziata, e non dall’incenerimento. E, dall’altra parte, dallo studio emerge come dall’inceneritore esca una massa di emissioni che è molto più alta di quella che esce da una azienda di riciclo. Ma nonostante i filtri e l’impianto di aspirazione dovrebbero essere progettati in modo da ridurre la concentrazione ai valori prescritti dalla legge, – commenta l’Assessore all’Ambiente del Comune di Coriano Michele Morri – non tutte le emissioni sono normate, quindi di esse vengono fatti controlli poco frequenti o, addirittura, non vengono controllate”. Una dichiarazione che, però, è in contraddizione con quanto ci è stato riportato ufficialmente da Hera: “Il monitoraggio delle emissioni è continuo, tutti i principali parametri delle emissioni prodotte sono analizzati ogni 40 secondi, trasmessi agli enti di controllo, pubblicati e aggiornati ogni mezz’ora sul sito web www.herambiente.it, visibili quindi a chiunque”. Punti di vista…  “Il Rapporto intermedio che abbiamo pubblicato, – continua Morri – certifica il nostro impegno a dare un contributo serio e scientifico alla gestione dei rifiuti in Emilia Romagna e in Italia. Dai dati di questo studio nasce un fondamentale interrogativo, che riguarda la definizione di linee strategiche degli Enti di Pianificazione della Gestione dei Rifiuti (Stato e Regioni): recuperare materia e quindi spingere sulla raccolta differenziata o produrre energia e calore e quindi prediligere l’incenerimento con recupero? Sarebbe opportuno scommettere sulla raccolta differenziata e il recupero di materia e, quindi, pianificare altri impianti di recupero materia piuttosto che impianti a recupero energetico”.

Il dibattito attorno all’inceneritore, dunque, continua ad evolversi, anche se ha sempre meno spazio sotto i riflettori pubblici. In conclusione, però, va aggiunta una questione. Nell’arco del 2014, sei comuni della provincia di Rimini (Coriano, Riccione, Misano, San Clemente, Rimini, Cattolica) approvano il decalogo “No Inceneritore” proposto da diversi gruppi ambientalisti locali. Esclusa Cattolica, tutti beneficiano dell’indennità di disagio ambientale corrisposta da Hera e Atersir per l’impatto dell’inceneritore. Al punto 1 del decalogo, i Comuni si impegnano a destinare tale indennità alle analisi dei terreni circostanti l’impianto, così come fatto da Coriano e Riccione.
Che fine hanno fatto questi soldi, per quanto riguarda Misano, Rimini e San Clemente? Ad oggi, ancora, nessuna risposta.

Simone Santini