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Il segreto della vita

rosalind Franklin

Un’avvincente commedia di Anna Ziegler dedicata a Rosalind Franklin e alla scoperta del Dna con le musiche di Arturo Annecchino

ROMA,15 aprile 2017 – Per le donne è più difficile. Soprattutto un tempo e, tanto più, se si occupavano di scienza. A fronte di una Marie Curie che si è aggiudicata il Nobel per ben due volte, sono numerosi i casi di ricercatrici arrivate alle soglie di scoperte clamorose ma disconosciute dalla storia. La loro rivalutazione è stata postuma: figure come Lise Meitner (intuì la fissione dell’atomo, ma nel 1944 il Nobel venne assegnato a Otto Hahn) e Rosalind Franklin (che aveva fotografato la molecola del Dna, ma nel 1962 il massimo riconoscimento fu attribuito a tre suoi colleghi che sfruttarono le immagini da lei prodotte) solo di recente si sono guadagnate un posto, seppure periferico, nei testi di storia della scienza.

Sulla figura della Franklin, chimica londinese specialista in cristallografia, morta di cancro a soli trentasette anni, è incentrata la commedia di Anna Ziegler Photograph 51 (come la celebre immagine ottenuta con i raggi X dalla scienziata, e che rappresenta la prova più evidente della struttura a doppia elica del Dna) portata in scena per la prima volta due anni fa da Nicole Kidman. Arrivata ora in Italia al Teatro Eliseo con il titolo Rosalind Franklin. Il segreto della vita – la traduzione letterale Fotografia 51 sarebbe stata poco accattivante – per la regia di Filippo Dini, si rivela un testo ben costruito, che funziona perfettamente in palcoscenico tenendo avvinto lo spettatore, nonostante si addentri in dettagli tecnici che potrebbero spaventare chi non ha conoscenze di biochimica. Merito di un’efficace alternanza narrativa: nei dialoghi si passa dal presente al passato – il tempo del ricordo – attraverso continui salti diacronici che fanno emergere i rapporti conflittuali dei personaggi: le loro rivalità e ambizioni, non esenti da meschinità umane.

La scena unica di Laura Benzi prevede un salottino su un lato del palcoscenico e un cilindro centrale ruotante – il laboratorio del King’s College di Londra, dove la Franklin effettua i suoi esperimenti – avvolto da teli bianchi sui quali un imponente apparato tecnologico proietta fascinose immagini di biologia molecolare. E le musiche di Arturo Annecchino creano un’ideale cornice sonora: astratta senza essere mai algida.

Pure la bravura degli interpreti gioca un ruolo determinante. In primo luogo Asia Argento, che disegna un’austera protagonista, animata da un rigore professionale implacabile: un personaggio spigoloso, a tratti persino ruvido, diffidente perché deve lavorare in un contesto maschile tutt’altro che favorevole alle donne. Oltre che regista, Filippo Dini interpreta il dottor Maurice Wilkins, che divise il Nobel nel 1962 con i più celebri Watson e Crick. Collega e rivale della Franklin, macerato dai sensi di colpa, goffo sul piano umano e ambizioso su quello scientifico, è in grado d’interagire con la protagonista solo parlando del Racconto d’inverno di Shakespeare.

Nei panni degli ambiziosi e spregiudicati James Watson e Francis Crick – non esitano a sfruttare il lavoro della collega – erano rispettivamente il giovane Dario Iubatti (che incarna lo stereotipo dello scienziato con i capelli arruffati e i pantaloni oversize) e Paolo Zuccari, più convenzionale, ma forse ancor più cinico. Accattivante Giulio Della Monica, il dottorando Raymond Gosling, spesso improvvido e opportunista, che cerca di barcamenarsi fra la Franklin e il dottor Wilkins. Completava il sestetto l’attore Alessandro Tedeschi (il borsista Donald Caspar che lavorò per un periodo con la Franklin), l’unico di fronte al quale la scienziata sembra sciogliersi, ammettendo dubbi e perplessità sul valore delle ricerche condotte. E pure le sue fragilità di donna, che ha sacrificato i sentimenti per la scienza.

Giulia Vannoni