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Il Rinascimento delle maioliche

Su alcuni frammenti si riconosce il tratto incerto e acerbo di qualche giovane garzone alle prime armi, il disegno abbozzato di chi apprende i rudimenti della decorazione dipinta su maiolica.
Su altri, si decifrano le iniziali di diversi vasai, come Polidoro Pandorzi e il genero Tommaso Tommasiesi, così come i nomi di alcuni “migranti”, partiti poi per lavorare in importanti manifatture di maioliche a Urbino.
Questa e molte altre storie di vita vissuta ci vengono restituite direttamente dai preziosi e numerosi frammenti fittili esposti nel museo delle maioliche mondainesi, un piccolo tempio di storia locale che testimonia una delle pagine più originali dell’arte e della creatività romagnole.
L’esposizione permanente dedicata alle maioliche di Mondaino è stata realizzata nel 2004 dopo secoli di silenzio e di dimenticanza di questa peculiare produzione di stoviglie smaltate, dipinte con un’ampia varietà di stili decorativi.
E dopo che per decenni gli studi e le ricerche sulle maioliche italiane sono rimasti concentrati solo sui principali centri come Faenza per la Romagna, Urbino, Casteldurante e Pesaro per le Marche, ora pure Mondaino ha ritrovato, anche grazie a questo museo, il suo giusto e riconosciuto posto nel mondo della produzione di maioliche artistiche.
La finalità del civico museo è essenzialmente didattica e narrativa e, accanto ai frammenti rinvenuti a seguito degli scavi, vengono presentati ai visitatori i “ferri del mestiere” del perfetto vasaio: stecche di legno, spugne, mastelli e pennelli per la decorazione dei pezzi modellati dopo la tornitura.
E dai lontani secoli è arrivato un aiuto: il principale battistrada per la realizzazione dell’allestimento moderno e funzionale del museo è stato l’eccezionale trattato di Cipriano Piccolpasso di Casteldurante, risalente alla metà del Cinquecento.
Nelle vetrine del museo si trovano frammenti di ciotole e scodelle, scarti di lavorazione e piccoli “incidenti di percorso” che fanno scoprire pagine inedite non solo di archeologia e storia dell’arte, ma anche di storia dell’economia, viaggi, scambi commerciali, progressi tecnici e artigianali, storia della moda e del gusto.
E sono proprio gli scarti di lavorazione ad assicurare l’origine locale della massima parte delle maioliche recuperate, pezzi collocabili per la maggior parte verso la metà del Cinquecento e destinati all’esportazione verso Pisa, Faenza, Montelupo Fiorentino e Albisola.
Tra i pezzi più belli ed eleganti esposti a Mondaino spiccano frammenti decorati in stile “gotico-floreale”, fondi di scodelle, bordi di piatti con ghirlande, trofei, figure di guerrieri e iconografie religiose realizzate in stile compendiario; e ancora, porzioni di boccali con il motivo del cuore trafitto, simbolo e pegno d’amore.
Le ceramiche rappresentano per gli studiosi di storia e archeologia quasi una bussola infallibile, e questo perchè sono gli unici manufatti del passato che non possono essere riciclati e che ancora esistono quasi nella loro totalità, sia pure in frammenti, nel terreno e nelle costruzioni, dato che dopo la cottura i loro rifiuti di lavorazione o di uso, diversamente dai metalli e dai vetri, non possono essere reimpiegati e neppure si degradano nel terreno come avviene ad esempio per i materiali organici.
“Abbiamo avuto l’opportunità di poter affiancare gli scavi archeologici condotti dalla Soprintendenza a partire dal 1994. – spiega Alberto Giorgi, Presidente dell’Associazione Tredici Torrioni e mondainese doc – È stata un’esperienza preziosa che ci ha consentito di imparare molto. Le ceramiche sono state recuperate in vari sterri e nel saggio archeologico del parco Fratte, diretto da Maria Grazia Maioli e coordinato da Maria Luisa Stoppioni. Né vanno dimenticati il progetto, la consulenza e il coordinamento scientifico di Sergio Nepoti. Oggi, la nostra associazione di volontari porta avanti l’impegnativa attività di divulgazione e di valorizzazione del patrimonio culturale, attraverso laboratori e visite guidate”.
Il futuro di questa, come di molte altre istituzioni e realtà culturali dell’entroterra, è riposta in gran parte, non solo nelle mani delle amministrazioni, ma anche in quelle di turisti e visitatori che, non fermandosi alle sole attrazioni di svago della riviera, preferiscono conoscere e approfondire le vaste ricchezze artistiche e storiche dei borghi arrocati sulle creste del Montefeltro e non solo. Ancora tanto resta da fare nel settore del potenziamento e, se possibile, nell’ampliamento dei programmi, delle offerte e degli spazi espositivi. E si sa che solo gli uomini di ampie e alte vedute sanno fare cose grandi.

Clara Castaldo