I dieci comandamenti ai politici del Vescovo Francesco

    LA CHIESA ha un’alta stima per l’azione politica; la dice “degna di lode e di considerazione” (GS 75), l’addita come “forma esigente di carità” (Oct. Adv. 46). Come cristiani abbiamo una parola da dire sulla politica non per un’indebita ingerenza o per una illegittima invasione di campo e senza l’ingenua presunzione di esaurire tutto il discorso, perché in una società democratica c’è e ci deve essere spazio per ogni posizione e ogni cultura. Ma è appunto non solo la fede, è anche lo stesso sistema democratico a reclamare l’apporto originale e insostituibile della concezione e della presenza cristiana nella costruzione della città dell’uomo e nel perseguimento del bene comune.

    1. Servizio
    È parola primaria e irrinunciabile nell’agire politico. Non si può esercitare la pubblica autorità per farsi strada, ma solo per fare strada ai poveri; e non perché serve ad una famiglia, ad un gruppo o ad un clan, ma per il bene comune. La riprova di un impegno politico condotto secondo la logica del servizio sarà la gratuità come libertà dal potere, come capacità di usare il potere senza esserne usati, senza che alla fine neanche un soldo si sia attaccato alle mani.

    2. Saggezza
    “Dammi la saggezza necessaria per amministrare la giustizia tra il popolo – pregava il giovane re Salomone nell’atto di salire al trono – e per distinguere il bene dal male” (1Re 3,6-8). L’esercizio del discernimento è impresa alta e delicatissima per i detentori dell’autorità politica, che hanno bisogno continuo di tenacia per cambiare le cose che è giusto e possibile cambiare, di pazienza per accettare le cose che non si devono o non si possono cambiare, e di sapienza per distinguere le prime dalle seconde.

    3. Coraggio
    Fare politica è una scelta che costa tempo, energie e continua abnegazione e comporta rischi, sacrifici e dolorose rinunce. Si richiede perciò una elevata dose di coraggio per buttarsi nella mischia del confronto, per sottoporsi al giudizio sovrano del popolo e per esporsi al vento della critica, anche quando questa risultasse infondata o ingenerosa

    4. Democrazia
    Il potere deve essere esercitato non solo per il popolo ma con il popolo: l’autorità – diceva S. Tommaso – è “vicaria della moltitudine” (S. Th. I-II,90,3). Ciò comporta, oltre al rispetto per il responso delle urne, la sollecitazione del parere popolare e l’attenzione costante a non manipolare mai le coscienze. Comporta pure il “buon gusto” di passare la mano quando si è obbligati a farlo per via elettorale, ma anche quando si avverte che è ora di non ostacolare il ricambio e di favorire l’alternanza. Il politico di razza è colui che dimostra di saper vivere anche senza fare più politica diretta, ma con la fierezza di averla fatta con scienza e coscienza.

    5. Dialogo
    Colui che rappresenta il popolo e in suo nome esercita l’autorità non può non essere un artista del dialogo su tutto e con tutti, specialmente con gli “avversari” che egli non potrà considerare mai né come concorrenti né tanto meno come nemici. Nella lotta politica si asterrà dall’usare argomenti polemici rivolti direttamente a mettere in cattiva luce un avversario politico agli occhi dell’opinione pubblica, come pure, anziché spendere energie nel demonizzare l’avversario, si impegnerà a non attaccarne pregiudizialmente le posizioni e cercherà di far capire le proprie.

    6. Laicità
    Il credente sa bene che sia nella comunità cristiana che in quella civile si deve con ogni sforzo evitare il clericalismo, secondo cui la Chiesa essendo autorevole nella fede, sarebbe autorevole su tutto. Il laicato cattolico non può eludere le proprie responsabilità finché o in attesa che i vescovi parlino, anche quando non sono tenuti a parlare o è meglio che non parlino.

    7. Poveri
    Non ci si può trincerare dietro l’alibi troppo comodo che i poveri non ci sono più. Anzi, nella cosiddetta società dei due terzi, in cui due su tre stanno bene e per le regole democratiche sono in maggioranza, bisognerà evitare che la minoranza povera non sia adeguatamente rappresentata e tutelata nei fondamentali diritti di una vita a misura d’uomo.

    8. Competenza
    Il vero politico dimostra competenza e professionalità, senza diventare un professionista della politica. Se è un giovane disoccupato, si troverà prima un lavoro e solo dopo si impegnerà in politica. Se esercita una professione, non si illuderà che basta essere un bravo medico per essere automaticamente un bravo assessore alla sanità.

    9. Donna
    È da lamentare una diffusa latitanza delle donne nella vita politica, eppure diceva già don Sturzo: “Non è da disdegnare l’ausilio delle donne sagge poiché vedono le cose da un punto di vista che può sfuggire agli uomini”. Le donne infatti hanno scarso fascino per le ideologie, attenzione intuitiva alle persone più che agli schieramenti, senso della concretezza e molteplicità di interessi che le rende più libere dalla tentazione del potere.

    10. Tensione
    Perché la politica non degeneri in mera e spesso cinica gestione del potere, si richiede una forte tensione ideale. Certamente occorre realismo nel verificare le condizioni di fattibilità e coraggio nell’adottare le scelte concrete. Ma proprio per questo è indispensabile un progetto alto e un grande ideale. Per questo l’autentico uomo politico non potrà mai ridurre a basso voltaggio l’alta tensione tra i valori di riferimento e i provvedimenti più minuti, e non potrà mai togliersi quella che A. Moro chiamava ”la spina dell’inappagamento”.

    +Francesco Lambiasi, vescovo