Home Attualita “Gratuità non è sfruttamento”

“Gratuità non è sfruttamento”

La gratuità può convivere con l’economia? In altri termini, è possibile fare cooperazione in ambienti economici dove tende a predominare un approccio puramente di mercato? Sono state queste le due domande al centro dell’incontro “Il terzo settore: socialità e reciprocità nell’economia”, il terzo appuntamento del ciclo La politica ha bisogno della buona cultura. Alla sala Buonarrivo della Provincia di Rimini, il 29 novembre, ad affrontare queste tematiche è stata la professoressa Alessandra Smerilli, economista, autrice di numerosi saggi e professore di Economia presso l’Università Cattolica di Milano.

Prof.ssa Smerilli, che cosa c’entra il mercato con la socialità e la reciprocità tipiche del terzo settore?
“Per comprendere fino in fondo la questione occorre partire dalle riflessioni di Adam Smith che è considerato il padre fondatore della teoria moderna del mercato. È lui che sostiene che nelle relazioni di mercato c’è uno scambio di equivalenti tra prestazioni e pagamento. I soggetti non devono dipendere dalla benevolenza degli altri. Il contrario di quello che accade nella relazione non di mercato basata sul dono, l’amicizia o la parentela. Da Smith in poi sono passati duecento anni, ma nella sostanza il ragionamento è rimasto lo stesso”.

Con quale messaggio?
“Che se ciascuno cerca il proprio interesse tutto funziona. Ma Smith va oltre e dice che qualunque azione che si propone lo scopo del bene comune, produrrà effetti perversi per l’impresa e per la società, e che per l’esistenza della società la gratuità è meno essenziale della giustizia. Insomma, la società secondo Smith può sussistere senza gratuità”.

Quanto è presente oggi questo pensiero?
“Nel pensiero economico più forte, la scuola di Chicago, si dice ancora che l’unica responsabilità che l’impresa è fare profitti, il resto viene dopo”.

Quindi?
“Quindi è avvenuta l’espulsione della gratuità, della reciprocità, della fraternità dalla sfera economica e l’allontanamento della dimensione economica da chi vuole sfidare il mercato. Paradossalmente, infatti, succede questo: che se l’economia viaggia su un certo binario, chi vuole agire con gratuità mette in qualche modo da parte l’economia. Ma così abbiamo molte realtà che non riescono ad andare avanti e sono costrette a chiudere. Invece l’economia è importante”.

Quindi in base a che cosa si deve decidere: il rapporto costi-benefici?
“No, il rapporto costo-benefici non può essere l’unica dimensione che conta. Pensiamo al campo della sanità, un mero calcolo può portare a delle scelte che mettono a rischio delle vite umane. Un fatto è certo. Stiamo mutuando nella vita di tutti i giorni, anche nel linguaggio, la razionalità economica. Penso ad esempio al campo educativo: si parla di debito, credito, contratto formativo”.

Come si può uscire da questo schema?
“Questo sistema si autoalimenta. Il modello di sviluppo che abbiamo messo in atto genera crescita economica, molte volte a danno delle relazioni interpersonali. Tuttavia vale anche il contrario: il degrado delle relazioni continua a generare sviluppo, crescita, perchè il mercato riesce a offrire servizi a pagamento cercando di rispondere ai bisogni nuovi che si stanno creando”.

L’economia allora si merita davvero la definizione di “scienza triste”?
“Questo è quello che s’insegna nelle università ma se l’economia diventa il luogo delle passioni, degli ideali, degli interessi per la felicità pubblica, allora anche oggi ci può essere qualcosa di nuovo da proporre nel modo di fare economia”.

Che cosa lasciarci alle spalle e che cosa adottare per il futuro?
“Una categoria culturale da superare è legata alla distinzione no profit-for profit. Forse sarebbe meglio parlare di imprese civili e incivili perché fare profitto non è un male, anzi è il test che l’impresa sta funzionando bene.
Persone che vivono la gratuità sono importanti per l’economia, ma rimane pur sempre solo un’affermazione di principio”.

Sì, ma è anche matematicamente dimostrabile. Nella letteratura economica le strategie di gratuità sono considerate stupide perché fanno male a sé stesse e agli altri perchè si lasciano sfruttare dagli opportunisti e li fa crescere. È proprio così?
“Due soggetti possono decidere in una determinata situazione se cooperare o non cooperare. Nonostante entrambi credano che sarebbe meglio cooperare, non ci si arriva mai per due motivi. L’opportunismo perché se penso che l’altro coopera io non coopero e ottengo il massimo beneficio. Oppure per la paura di essere sfruttati: se io coopero e l’altro non coopera ottengo il minimo risultato. Questo mix di opportunismo che in gergo si chiama tentazione e di paura porta a fare delle scelte che non sono ottime sia a livello individuale sia di collettivo”.

Tutto questo come si ricollega al tema del mercato?
“Il mercato per funzionare ha bisogno di fiducia e di cooperazione e non va avanti se ognuno si ritira nel proprio guscio”.

Quali sono allora le soluzioni?
“La strada alla quale forse siamo più vicini, non è solo cambiare i valori individuali ma passare a una diversa percezione dei problemi che possono essere visti sia da un punto di vista individuale ma anche collettivo”.

Come far scattare la cooperazione in ambiti non cooperativi?
“Se vive bene il proprio essere il terzo settore può civilizzare il mercato. Di tutto il terzo settore c’è bisogno perché il mercato sia più completo, più umano. Si tratta di realtà che non devono farsi sfruttare”.

Quindi cosa si deve intendere per gratuità?
“Non va confusa con il buonismo. Confondere il gratuito con il gratis ha nascosto tante forme di sfruttamento, in particolare della donna. Io posso lavorare gratuitamente perché lo faccio anche con motivazioni intrinseche. Gratuito può essere anche con un contratto e un giusto salario. Non perché ricevo uno stipendio, non vivo con gratuità il mio lavoro. Per questo c’è bisogno di cambiare il mondo di intendere la socialità e il sociale anche sul mercato”.

Un esempio concreto?
“Nel raccontare la sua esperienza nel campo di concentramento di Auschwitz, Primo Levi scrive di aver spesso notato un fenomeno curioso. Il muratore italiano che gli ha salvato la vita portandogli di nascosto del cibo, detestava tutto di loro eppure quando lo mettevano a tirare su i muri li tirava su dritti e solidi non per obbedienza, ma per dignità. Tirare su un muro dritto per dignità è espressione di gratuità. È di questa gratuità che il mercato ha bisogno. Pensiamo solo ai muri dell’Aquila: se solo fossero stati fatti diversamente, tante vite umane non sarebbero state perse e così si potrebbero fare tanti altri esempi. Gratuità intesa quindi come un modo nuovo di stare sul mercato facendo le cose bene e in qualche modo portando tutto il mercato a una maggiore cooperazione. Questo è ciò di cui ha bisogno l’Italia, soprattutto ora che sappiamo che dobbiamo tornare a crescere”.

Domenico Chiericozzi