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Gli affari non sono… affari

Cosa c’entra l’economia con la fede? È giusto dire che “gli affari sono affari”o il mercato può davvero interessarsi al Bene Comune? Queste le domande al centro dell’incontro organizzato il 18 novembre dalla Parrocchia di San Gaudenzo e il gruppo Nuove Frontiere. Ospite e relatore la Prof.ssa Vera Negri Zamagni, Ordinario di Storia Economica presso l’Università di Bologna.

Professoressa, ripartiamo dal titolo della serata: cosa c’entra l’economia con la fede?
“Tutto ciò che è umano riguarda la fede. Il compito di amministrare il mondo deriva sin da quando Dio lo creò insieme all’uomo. A lui conferì il compito di amministrarlo. Noi dobbiamo occuparcene allo stesso modo, in maniera creativa, non lasciando le cose come stanno ma continuando l’opera della creazione senza mai ritenerci soddisfatti di quello che abbiamo raggiunto”.

È possibile che il mercato si interessi al Bene Comune?
“Il mercato non è un meccanismo neutro ma è un’istituzione che risponde a dei principi a priori che non sono determinati dal mercato ma da qualche cosa di esterno. Di prove ce ne sono tantissime: pensiamo al mercato delle persone, la schiavitù. A un certo punto il fenomeno è scomparso perché qualcuno ha detto no a questo mercato. Eppure funzionava benissimo”.

In che senso?
“Alcuni colleghi americani hanno dimostrato che gli stati che funzionavano con questo meccanismo, dal punto di vista economico non sarebbero mai falliti. È soltanto un esempio, potrei farne molti altri. Pensiamo al mercato degli organi, della donazione del sangue, così come tutta la legislazione del mercato del lavoro. Certe cose si possono fare, altre no. Quindi non esiste un mercato che si autogoverni. Il mercato ha bisogno di interventi”.

Come si inserisce in questa riflessione il concetto di Bene Comune?
“Questo concetto è un’invenzione della chiesa cattolica, in particolare dei francescani. Sono stati loro i primi a capire che la traduzione sociale e lo sforzo morale contro l’egoismo fosse il bene comune, in altre parole quell’attività economica realizzata sulla dimensione dell’inclusione opposta alla dimensione dell’egoismo che, invece, è una dimensione dell’esclusione: ci sono io e gli altri non contano”.

L’aspetto negativo, la dimensione dell’egoismo, come si è manifestato in questi anni?
“Con due <+cors>mode<+testo> diffuse purtroppo senza grandi contrasti. La prima è che i mercati si autoregolano, così le regole davano fastidio, per cui per dieci anni si è continuato a liberalizzare su un assunto assolutamente falso. La seconda moda è quella della finanza, su due versanti. Uno che la finanza fatta in un certo modo abbassa i rischi. L’altro che la finanza è in grado di produrre. Nel primo caso l’idea è che con nuovi strumenti finanziari, suddividendo il rischio su miliardi di posizioni, se le cose fossero andate male il rischio sarebbe comunque stato minimo. Questo in condizioni di normalità. Ma se vanno tutte male in contemporanea? Gli aspetti negativi si riversano su milioni di persone. Ed è quello che è accaduto. Quanto all’idea che la finanza possa produrre, questa è una delle cose più tremende che possano succedere all’umanità. Su questo la Chiesa ha fatto battaglia per secoli, contro l’usura ad esempio. Ciò che produce ricchezza è solo l’investimento in attività reali, il resto è un ricircolo”.

La Chiesa è stata ostile allo sviluppo economico?
“Il cristianesimo è strutturalmente favorevole allo sviluppo, naturalmente a uno sviluppo integrale, non esclusivamente materiale, quindi fondato sugli aspetti culturali, spirituali e trascendentali. Non c’è mai stata da parte della Chiesa una filosofia pauperistica del cristiano nel mondo. Anzi sono stati proprio i francescani a creare le strutture dell’economia moderna, a partire dalla loro contrarietà alla moneta utilizzata solo in quanto tale, quindi accettabile”.

Come si potrebbe definire l’ economia contemporanea?
“Contraddittoria. Ha strutture di bene comune, ma queste strutture convivono pesantemente con altre di egoismo e sfruttamento. Per questo è importante che ci siano cattolici che agiscano nell’agone dell’economia per portarne avanti il versante positivo. C’è questa base buona, la dobbiamo valorizzare. I cristiani devono combattere le loro battaglie”.

Seguendo quali strade?
“Prima di tutto mostrando che l’economia non è separata dall’etica e che questa si declina in diversi modi: nel rapporto con i lavoratori, ad esempio, oppure esprimendo la propria preferenza per la finanza e i consumi etici perché le imprese non sono tutte uguali. Poi impegnandosi di più per produrre beni relazionali, di merito, comuni e pubblici, accanto a quelli privati. Infine battendosi per l’equità sociale, il sostegno economico alla famiglia, la promozione del terzo settore”.

Cos’altro rispetto alla famiglia?
“La conciliazione dei tempi tra famiglia e lavoro. Le imprese hanno responsabilità, su questo bisogna darsi molto da fare”.

Le crisi hanno dei “meriti”?
“Sì, fanno piazza pulita degli errori, ma lo fanno a costi altissimi. Chi ha commesso l’errore esce fuori dal gioco prima degli altri e spesso se la cava. Va molto peggio per tutti coloro che restano presi in mezzo”.

In economia ci sono anche teorie “alternative” come quella legata al concetto di “decrescita”. Cosa ne pensa?
“La decrescita è impossibile e oltretutto è un concetto anticristiano. Impossibile perché: chi decide che cosa bisogna smettere di produrre? Anticristiano perché tarpa le ali allo sviluppo. Il concetto di decrescita distoglie l’attenzione da quello che è veramente importante: cambiare la struttura dei consumi. Il lavoro vero da fare è questo”.

Qual’ è la principale novità di questa crisi?
“Le crisi in passato non sono mai state figlie delle banche, di solito lo sono state delle borse. Le banche hanno speculato direttamente e questo gli è stato permesso dal punto di vista legislativo”.

Domenico Chiericozzi