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Giuseppe, tu cosa farai? “Il prete”

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“Ma tu cosa farai?”, “Io vado in Seminario!”. Estate del ’65, Passo di Costalunga, Campo Maturati di GS. Avevamo appena finito il Liceo e quei giorni di vacanza in montagna erano per tutti segnati dalla domanda del dopo, domanda per tanti carica di incertezza, non certo per Giuseppe. Ricordo a distanza di anni quel dialogo, al tramonto davanti alle montagne, perché la sicurezza di quella risposta strideva con la mia ansia. Come faceva uno a essere così sicuro? Tante volte, negli anni successivi, davanti a don Giuseppe, mi sono rifatta la stessa domanda, perché avvertivo lontana quella pacatezza sempre certa. Ma oggi è chiaro di cosa lui era certo, di cosa è sempre stato certo! Non delle sue scelte, né dei suoi sentimenti, ma della strada che un Altro stendeva davanti a lui e alla quale, con sempre maggiore consapevolezza, lui obbediva. Ecco perché lui non aveva mai l’ansia di cosa sarebbe accaduto “dopo”! Sempre, fino alle ultime ore, godeva dell’istante, giudicava l’istante presente, che fosse l’olio buono con cui condiva il cibo dell’ospedale piuttosto che la bellezza di essere riuscito negli ultimi giorni ad andare a vivere (noi dicevamo “a morire”, ma lui diceva “a stare”) nella Casa dei Preti in via Molise. La sera prima della sua morte gli avevo chiesto “ìGiuseppe sei contento di essere venuto qui?ì”. Aveva agitato le mani, come i bambini davanti a una cosa bellissima, e con gli occhi che brillavano “si, molto!!”.  Sono state le ultime parole che ho sentito da lui “si, molto!” .  Era quel “molto” di noi riminesi, con quella “o” lunghissima, perché dentro ci deve stare “tutto”. E in effetti in quei 6 brevi giorni trascorsi nella dimora della Fraternità dei sacerdoti di CL, don Giuseppe ha goduto, attraverso l’amicizia dei preti, l’abbraccio di Chi è Tutto. A volte le circostanze sembrano casuali, ma non è così! Anche i luoghi nei quali don Giuseppe ha passato le sue ultime settimane sono stati un segno. Prima la casa di sua sorella Vittoria e di Nicola, con la sua famiglia, fratelli, sorelle, nipoti, e poi la casa dei Preti di CL, il luogo definitivo della sua appartenenza. Giuseppe aveva  vissuto l’infanzia e l’adolescenza tra famiglia, la bella famiglia Maioli, e parrocchia, quella del Duomo, e in questi luoghi aveva imparato la fede e custodito la vocazione che lo avrebbe portato a Roma in Seminario. Credo che proprio negli anni del Seminario sia maturata in Giuseppe la consapevolezza che il Signore gli stava donando il carisma di don Giussani. Famiglia, parrocchia, Azione Cattolica, lo avevano accompagnato  fino a quel momento e GS (oggi CL) aveva rappresentato per lui qualcosa di buono, ma non di decisivo. Ma in quei primi anni di Seminario i rapporti tra lui ed alcuni di noi si intensificarono. La casa di Antonio (con cui allora ero fidanzata ) era una delle prime tappe di Giuseppe quando, due volte all’anno, tornava da Roma. Credo che questi rapporti di amicizia, insieme a quelli con alcuni seminaristi e con alcuni sacerdoti, siano stati il terreno in cui è maturata la sua piena adesione a CL. Nella sequela al carisma di Giussani, senza mai “sentirsi sdoppiato tra Diocesi e CL”, come il Vescovo ricordava, don Giuseppe ha fatto il Parroco, l’insegnante di Religione, il responsabile di GS per diversi anni. E ha incontrato un fiume di persone, quel fiume del funerale, un numero di persone “insospettabile”, per uno come lui che aveva vissuto senza clamore, ma con una immensa fedeltà ai rapporti. “Per anni, quando abbiamo avuto bisogno, è venuto a mangiare da noi una volta alla settimana”, mi diceva un’amica. Con tutti questi amici lo abbiamo accompagnato,  guardandolo mentre si avvicinava al traguardo, “immedesimandoci con lui, per avviarci anche noi, perché questa è la questione decisiva, siamo amici solo per questo”, come ci aveva detto don Carrón in una telefonata. Lo abbiamo accompagnato, pregando e cantando, insieme al nostro Vescovo che con una fedeltà commovente non si stancava di venire a visitare quel “prete contento”.

Emilia Guarnieri