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Giorgio Bellini, il pittore del sacro

L’Arte nasce con l’uomo, armonia e voce dell’anima, nel cogliere l’opera di Dio. Se tale, sempre sarà un meraviglioso messaggio d’amore, luce di libertà, / fede, pace di uomini, civiltà di popoli”. Quello di Giorgio Bellini non è un freddo e vuoto enunciato ma la sintesi scritta di quella poetica artistica che il pittore ha messo su tela in oltre 60 anni di attività.

Una pittura, quella del riminese Bellini, che – pennellata dopo pennellata – esprime pace, tranquillità, un forte legame con la terra e un profondo senso religioso. Al sacro, affrontato e praticato da sempre nella sua arte, Bellini – superata la soglia delle 80 primavere – ha dedicato un importante, voluminoso e ben curato libro, edito da Pazzini di Verucchio, con il contributo fondamentale di RivieraBanca.

Questo stesso libro sarà al centro, sabato 14 dicembre, dell’incontro organizzato al Teatro degli atti, a Rimini, alle 17.30. Di Bellini e della sua poetica artistica religiosa, parleranno con dovizia lo storico dell’arte di Pietracuta Alessandro Marchi, il presidente di RivieraBanca Fausto Caldari, e suor Maria Gloria Riva.

Partendo dalla natia Vergiano (dove il bambino Giorgio “sbirciava” il beato Marvelli nelle sue umanissime peregrinazioni in bicicletta, trasposte poi su tela in un recentissimo, emozionante quadro), e mettendo radici a Corpolò dove vive e lavora da tanti anni, Bellini ha già felicemente festeggiato il prezioso traguardo degli ottanta anni accompagnati dai sessanta di pittura, seguendo una linea precisa d’evoluzione stilistica e poetica, tanto quieta e lenta negli sviluppi visibili, quanto certa e determinata nelle convinzioni interiori.

“I miei amici più grandi mi parlavano di Alberto Marvelli e dicevano: arriva l’ingegnere. Saliva a Vergiano in bicicletta. – ha raccontato Bellini in un’intervista a ilPonte – Giocavamo con un pallone di stracci, un giorno arrivò in campo un pallone vero e proprio: ce l’aveva regalato il futuro beato”. Bellini è pittore che guarda l’uomo e la natura ma mira allo spirito: “Non l’edificio fisico ma la sua anima”, suggerisce la giusta traccia il critico e poeta Luca Cesari che all’opera dell’artista ha dedicato tanti studi e altrettanti scritti.

La poetica della “velatura” (cifra dell’ultimo periodo artistico del pittore della Valmarecchia) conduce immediatamente alla dialettica visibile-invisibile, al contrasto tra radicamento e spaesamento che vivono nei quadri di Bellini grazie a pennellate che scaldano il cuore, conduce in silenzio il pensiero ad appropriarsi di quelle colorate, narranti caligini.

La “nebbia” in cui immerge i paesaggi non sembra davvero la metafora inquietante della morte e dell’ignoto, quanto piuttosto un cammino verso la luce da affrontare con fiducia e gioia. Pennellate che ribadiscono un orizzonte di vita. Bellini “dipinge un paesaggio ormai del tutto interiore e spirituale, disancorato dai lacci più stretti della realtà” fa notare il critico e storico dell’arte riminese Alessandro Giovanardi.

Se la pittura di Bellini nasce oltre sessant’anni fa “onesta e pulita… alimentata dalla sana tradizione e dalla ricerca, non bislacca, del nuovo”, come ebbe a definirla il suo maestro, l’artista riminese Luigi Pasquini (da non confondere con pittura conservatrice, nel senso deteriore del termine), e l’azione lenta e misurata dai paesaggi è approdata alle velature della Valmarecchia, di San Marino e della Valconca, una fondamentale costante nell’opera belliniana sono le opere a tema religioso. Le calorose Dono di vivere e Maternità.

Mai banale e capace di inseguire e regalare con la tavolozza suggestioni e domande, quadri con protagonista Cristo, la Sacra famiglia, Maria o gli apostoli, sono disseminati in tante chiese della vallata, ma anche in scuole elementari (“Il Golgota continua” alla scuola elementare di Verucchio), collezioni private (l’intenso “Nell’orto degli ulivi” ma anche “Luce serena”) e pinacoteche (“L’unica speranza”, tecnica mista esposta nella Pinacoteca di Città del Vaticano). Nel “Battesimo di Gesù” come nella “Crocifissione” (custodite nella chiesa di San Paterniano, a Villa Verucchio), ci sono i colori tipici di Bellini: l’azzurro e il rosa evidenziano la luce della fede e al vivezza della speranza, il rosso la dinamicità e la passione della carità.

Dipinge santi (l’amichevole beato Pio Campidelli esposto a Santo Marino, Santa Chiara e San Francesco protagonisti della lunetta del soffitto del Monastero di Santa Chiara a Valdragone di San Marino), e con stile piacevole, profondità e ariosità dà vita a scene piene di colore s serenità. Manifesta contenuti soffusi di grazia nella semplicità. Nell’affrontare il soggetto sacro, Bellini non scansa la sofferenza e il dolore, anche nel suo atto più indicibile: la croce. “La Crocifissione (Gesù e i ladroni) del 1988, è un esempio di come, anche nell’ora del dolore, attraverso la sua pittura Bellini riesce ad esprimere una luce di speranza in messaggi d’amore.

Scrivendo circa “Il Salvatore, la parola che libera”, dipinto esposto nella sua chiesa parrocchiale di Corpolò, l’allora Vescovo di Rimini mons. Giovanni Locatelli la definiva “un testo di catechismo”, che aiuta “a capire come la Parola è tutto: sicurezza, pace, liberazione e gioia”.