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Gianluca Sardella, una vita con il fischietto in mano

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Domenica era a Capo d’Orlando a dirigere la partita di serie A di basket tra i siciliani e la Segafredo Bologna. Solo sei giorni prima, in occasione del derby lombardo tra EA7 Milano e Vanoli Cremona, Gianluca Sardella, ha spento la sua 500ª candelina sulla mega torta del massimo campionato professionistico. I complimenti sono piovuti da tutte le parti e anche Rimini, con una punta d’orgoglio, ha celebrato la carriera del fischietto di casa.

La domanda viene spontanea: come mai ha scelto di fare l’arbitro?
“Avevo sedici anni. Per l’esattezza il mio primo tesseramento è avvenuto nel 1987. Ho iniziato a giocare nelle giovanili del Basket Rimini, poi mi è venuta l’idea di fare l’allenatore e così sono entrato nella palestra del professor Rinaldi. A quel tempo uno degli «step» per arrivare al tesserino era quello di arbitrare 40 partite. Ne ho arbitrate, invece, 120 e tutto è iniziato da lì”.

Ricorda la sua prima direzione in serie A?
“Era il 1997 e la partita era Montecatini-Roseto”.

Da poco ha superato i vent’anni di arbitraggio, su e giù per l’Italia. Una bella esperienza, ma anche tanto sacrificio.
“Di professione sono avvocato e il mio lavoro riesco a gestirlo abbastanza bene. Il sacrificio, essendo sempre in giro nel fine settimana, è più che altro quello familiare”.

Una curiosità: qual è il limite d’età per un arbitro di pallacanestro?
“Cinquanta. Poi si potrebbe avere una deroga anno dopo anno, fino ai cinquantacinque. Ma a quell’età non ci arriva mai nessuno. A cinquantuno, cinquantadue massimo si smette”.

Dove si allena?
“In una palestra privata sulla Marecchiese e con un preparatore sulla pista d’atletica del «Neri». Lavoriamo sulla velocità e resistenza. Anche perché, rispetto al passato, il gioco in campo si è velocizzato molto, soprattutto nei cambi di direzione”.

Nel corso di una partita ci sono momenti di tensione durante i quali si hanno dei confronti faccia a faccia con autentici giganti. Come riesce a gestire, a livello mentale, queste situazioni?
“In primis bisogna mantenere la concentrazione sempre molto alta, poi chiaramente gli errori si commettono. La capacità è quella di superarli in fretta e continuare a dirigere con calma e professionalità”.

Questo all’interno del parquet. E all’esterno?
“Non abbiamo, come nel calcio, pressioni particolari. La tifoseria è, tra virgolette, molto più educata. Le pressioni le abbiamo più che altro da giocatori, società, giornali e televisioni”.

Un giudizio sulla nuova leva degli arbitri?
“In serie A stiamo vivendo un cambio generazionale. Solo l’anno scorso ne sono stati inseriti cinque nuovi. Nel giro di quattro, cinque anni, noi, diciamo così quelli più grandi, smetteremo tutti, quindi ci sarà un grande cambio generazionale, iniziato, come dicevo, l’anno scorso e che finirà tra tre, quattro anni”.

Una volta smesso, rimarrà nell’ambiente o appenderà il fischietto al classico chiodo?
“Indicativamente dovrei rimanere nell’ambiente. Sono già istruttore e faccio attività a livello internazionale per il «tre contro tre». Però è difficile dire cosa farò, perché l’amore per il campo è una cosa, fare il dirigente è un’altra”.

Ultimamente a Rimini la serie A l’abbiamo raccontata solo grazie agli arbitri: Marzaloni per il calcio, che ora però ha smesso, e Sardella per il basket.
“Per quanto riguarda il basket, a Rimini si organizza qualche bell’evento e questo ti permette di avere ancora visibilità in ambito nazionale”.

Ultima domanda, forse scontata, ma inevitabile: come vive il declino del basket riminese?
“A chi non farebbe piacere vedere in campo una squadra in un campionato di livello superiore all’attuale? Purtroppo Rimini per lo sport è una piazza difficile, vedi anche il calcio. Mancano probabilmente gli investitori, imprenditori che si appassionano perché a livello di impiantistica ci siamo abbastanza”.

Beppe Autuori