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Genocidio siriano

“Non si combatte il male con il male”. Lo ha detto Papa Francesco nel corso dell’Angelus di domenica 25 febbraio tornando a parlare della Siria e delle azioni disumane che lì vengono perpetrate dal 2011. In questi anni di atroce e sanguinoso conflitto Bergoglio ha dimostrato di essere l’unico leader ad aver realmente compreso cosa stia ancora accadendo nel mondo arabo. Si perché, se per molti quello della Siria è un problema con confini territoriali ben marcati, per la realtà invece si configura come una guerra mondiale a tutti gli effetti.
La pensa in questo modo il giornalista Rai e vaticanista Riccardo Cristiano autore del libro “Siria. L’ultimo genocidio” presentato a Riccione nell’ambito degli Incontri del Mediterraneo, giunti quest’anno alla sedicesima edizione. La rassegna, organizzata dall’Associazione Michele Pulici, ha scelto di scandagliare fatti, conflitti, crisi e cambiamenti che attraversano tutti i Paesi della frontiera sud del Mediterraneo. Quella della Siria è una storia di popoli, di migrazioni, di guerra e di lotte per il potere. Una storia insomma che ha molti punti in comune con il Venezuela, ad esempio.

Cosa sta accadendo in Siria?
“In Siria oggi è in atto l’ultimo genocidio difensivo, dei siriani sunniti, da espellere dal loro territorio come ‘possibili’ quinte colonne dell’Arabia Saudita. Aleppo e la Siria sono così il simbolo della bancarotta politica araba, che ha in panarabismo e panislamismo due ideologie fallite che producono solo regimi cleptocrati e totalitari e terrorismi. Tutto questo accade mentre nel mondo occidentale è in atto una profonda e costante negazione di quanto sta accadendo in Medio Oriente. Si è negata dapprima la ‘rivoluzione siriana’ e ora si nega quello che sotto ogni aspetto è il genocidio di un popolo”.

Perché c’è indifferenza?
“Difficile capire. Uno dei motivi è che la rappresentazione di questo conflitto è stata fuorviante. Il regime di Damasco è riuscito a dare una rappresentazione del tipo ‘buoni contro cattivi’ dove i cattivi sono personificati dall’Isis. Questa opposizione non corrisponde alla realtà ma ha incontrato la nostra tendenza a immaginare che ci sia un buono e un cattivo, anziché due cattivi”.

Come si è arrivati a un’aberrazione come l’Isis?
“L’origine è lontana e affonda le basi nel 2003 quando il regime siriano si offrì come punto di raccolta dello jihadismo internazionale per impantanare gli americani in Iraq. Quando è cominciata questa operazione il regime lo ha fatto per un calcolo politico: difendersi da una possibile espansione irachena presso il proprio territorio. Per fare questo ha raccolto e organizzato autentiche forze militari”.

Come viene raccontato il conflitto siriano in Occidente?
“Le immagini hanno un grande potere e in Occidente abbiamo un disperato bisogno di nuova cultura. Questo moto di sensibilizzazione scaturito da una foto lo abbiamo provato in diverse occasioni: si pensi alla foto che ritrae Aylan il piccolo migrante morto annegato, fino ad arrivare ad oggi con il piccolo che dorme all’interno di una valigia. In entrambi i casi c’è l’infanzia e c’è la fotografia. Ma a questo punto, c’è da chiedersi per quale ragione i bambini non accompagnati che riempiono le stazioni europee non impietosiscono gli occidentali. C’è un qualcosa di questi conflitti che se personalizzati in una fotografia commuovono di più. La fotografia ha un’enorme potere ma condiziona l’informazione: ad esempio, è difficile che ci facciano vedere il 60% di centri sanitari Siriani distrutti dai bombardamenti. Alla base c’è un problema di rappresentazione che si è riusciti a far passare di questo conflitto”.

Dalla Siria al Venezuela. C’è un collegamento?
“Il collegamento purtroppo c’è. Alla base di queste crisi c’è sempre un potere politico osteggiato da altri affari. Ci sono armi, droga, petrolio, che spesso uniscono due città lontane come possono essere ad esempio Caracas e Damasco. Questo ci dice come tutti questi fenomeni siano molto più collegati tra di loro di quanto noi riusciamo normalmente a percepire”.

Quanto sono fondamentali le parole e gli appelli del Papa?
“Ricoprono un aspetto molto importante. Il Papa è un leader religioso della Chiesa cattolica. Bergoglio a mio avviso è il leader morale del ventunesimo secolo e i suoi appelli indicano un’attenzione nei confronti delle vittime che non è confessionale. Lui rimuove ogni confessionalismo. Il Pontefice si rivolge alle persone, ai cittadini, indipendentemente dalla loro fede e fino ad ora è il solo che dimostra di aver realmente capito il dramma umanitario che si sta consumando in Siria e che arriva anche in Europa.”

Pio XII e Papa Francesco. Due papi che hanno fronteggiato conflitti di carattere mondiale. Ci sono punti in comune?
“Certo, anche se per papa Pacelli non si potrà dire abbastanza fino a che non saranno aperti gli archivi della Santa Sede al cui interno è racchiusa l’attività diplomatica svolta sotto il suo pontificato. Da una parte il Papa preferì non pronunciare appelli pubblici, dall’altra offrì il sostegno delle comunità religiose e dei conventi. Nel caso di Papa Francesco, invece, nessuno potrà di dire che il Pontefice non ha parlato. Non si è espresso solo nel corso degli Angelus, ma nel dicembre 2016 ha scritto ad Assad prima che cadesse Aleppo est. Nella lettera il Papa chiedeva il rispetto dei diritti umani di tutta la popolazione di Aleppo e condannava il terrorismo da qualsiasi parte venga”.

Qual è il futuro per la Siria?
“Per il momento il conflitto non accenna a una conclusione e non può neppure terminare. Gli attori coinvolti dall’estero sono tanti: c’è il fronte Qatar-Turchia, l’Arabia Saudita, l’Iran, la Russia, e quel piccolo fazzoletto degli Stati Uniti. È una guerra mondiale”.
Alessandro Notarnicola