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Generazione con la valigia

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Quasi 23mila cittadini residenti in provincia di Rimini, vivono attualmente all’estero. Il dato, estrapolato dal  Rapporto 2016 della Fondazione Migrantes ha attirato l’attenzione dell’opinione pubblica, anche se solo per qualche giorno. Si parla di una fetta che rappresenta circa il 7 per cento della popolazione di questo territorio, il doppio di quanto si registra a livello medio in regione, e questi sono solo gli emigrati che si sono iscritti all’Aire (Anagrafe italiani residenti all’estero), cosa che non tutti fanno. Quindi si presuppone che siano molti di più. La fotografia viene scattata dal nuovo numero di dicembre di TRE – TuttoRiminiEconomia, in uscita la prossima settimana con ilPonte.

I dati. Dopo Bologna, Parma e Modena, Rimini è la provincia con il numero assoluto più elevato di migranti in Emilia Romagna e il comune capoluogo, con 9mila espatriati, è il secondo, in regione, dopo Bologna (a quota 16mila), e ventunesimo sui circa 8mila comuni italiani.
Due migranti riminesi su dieci, in linea col dato regionale, hanno tra 18 e 34 anni. Molti vivono all’estero da anni, ma ci sono pochi dubbi che la crisi abbia dato una buona spinta. Infatti, i trasferimenti di residenza dalla provincia di Rimini in direzione estero (comprendendo cittadini di nazionalità italiana ed estera) sono passati da 247 del 2007 a 727 alla fine del 2014. Solo i cittadini di nazionalità italiana emigrati (escludendo quindi, gli immigrati residenti) da 227 sono diventati 533. In pratica i migranti riminesi sono più che raddoppiati.
La mancanza di opportunità lavorative, vista la presenza di tanti giovani, presumibilmente con alti titoli di studio, è tra le motivazioni più importanti (dal 2008 al 2014 gli italiani emigrati laureati sono aumentati del 22%). Si dice spesso, ed è vero, che è bene che i giovani facciano un’esperienza all’estero (sono quasi 50mila gli studenti universitari italiani iscritti in un ateneo estero), se poi hanno la possibilità di tornare per essere valorizzati. In caso contrario è una perdita netta.
Poi non ci si può lamentare se la metà dei giovani italiani (tra 25 e 34 anni) vive ancora con i genitori. Senza lavoro è difficile rendersi autonomi.

Lavoro scarso e poco qualificato. Sul lavoro che scarseggia per tutti, ma in modo particolare per i giovani, è stato già detto e scritto molto. Rimini non è estranea a questa condizione, ma per certi versi vive una situazione ancora più critica. Per una ragione piuttosto semplice: il turismo, che rappresenta una fetta importante della nostra economia, è un’attività ad alta intensità di lavoro, ma assume prevalentemente personale di qualifiche medio-basse. E questo si riflette sul quadro generale delle opportunità d’impiego.
A fine 2015, in provincia di Rimini, il tasso di disoccupazione dei giovani di 18-29 anni è al 24% (per le donne il doppio degli uomini: 32% a fronte del 16%), contro il 21% dell’Emilia Romagna e il 30% dell’Italia. Quindi, situazione peggiore del dato regionale, ma meglio del nazionale. Nel 2007, all’inizio della crisi, lo stesso tasso era, per Rimini, al 10%.
Con una specificità tutta riminese: una bassa domanda di laureati (ancora più bassa del dato nazionale, già tra gli ultimi in Europa). Il fenomeno precede la crisi e conferma la natura strutturale e non congiunturale del problema. I dati sono piuttosto impietosi: a fronte di 1.500-1.600 laureati annuali residenti in provincia, di cui più della metà costituiti da donne, la domanda del settore privato raramente oltrepassa quota 400, cioè circa un quarto dei potenziali candidati.
Secondo l’indagine Excelsior 2016 la domanda di laureati delle imprese di Rimini si ferma al 3,7 per cento delle assunzioni previste, quando in Emilia Romagna sale al 11,7.

Primo Silvestri