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FRANKENWEENIE

C’è il “nuovo” del 3D e “l’antico” dell’animazione a passo uno. C’è il bianco e nero vintage che fa tanto “film di mostri” anni ’30 stile Universal e il recupero di un cortometraggio realizzato dal regista all’età di 25 anni. Tim Burton recupera l’idea di Frankenweenie, la trasforma in un film a pupazzi in stop-motion (il corto era allora interpretato da attori) e si “vendica” della Disney, casa produttrice del nuovo Frankenweenie, che, all’epoca del corto, storse il naso di fronte alla storia giudicata troppo cupa (mentre le mamme tuonarono contro il film, reo di invitare i giovani all’uso smodato della corrente elettrica).
In realtà Frankenweenie non spaventa nessuno (giusto i piccolissimi potranno trovare qualche creatura un tantino inquietante), anzi diverte e appassiona, sia per il gusto cinefilo dove si ritrova tutta la passione dell’autore di Alice in Wonderland per il cinema classico (non a caso il giovane Victor, evidente alter ego di Tim Burton, mostra all’inizio ai genitori il suo “filmino” di mostri), sia per la storia in cui si riscontra l’estremo affetto di Victor per il suo cane Sparky, perito in un incidente, e riportato in vita dal ragazzo con un esperimento degno del dottor Frankenstein (che è il cognome di Victor). I curiosi compagni di scuola indagano sulla rinascita di Sparky con conseguente creazione di mostri assortiti, creando così un pandemonio nella quieta New Holland.
Frankenweenie è puro Burton 100%, con la sua capacità innegabile di creare personaggi bizzarri e situazioni fantasiose, dove però non è difficile ritrovare elementi della contemporaneità, dove anche gli adulti (vedi gli abitanti di New Holland) possono sbagliare valutazioni rispetto ai comportamenti dei figli come Victor, deciso ad usare la scienza a fin di bene.