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Equivalenti: cosa pensare?

Cosa sappiamo sui farmaci? Per molti di noi è un universo sconosciuto. Prendiamo, ad esempio, la vecchia Aspirina. È una molecola composta da 21 atomi, l’insulina contiene 788 atomi organizzati in 52 molecole, l’ormone eritropoietina ha 4mila atomi. Nei più evoluti farmaci biologici si arriva a 20mila. Queste cifre fanno la differenza tra i farmaci tradizionali, figli della chimica, e i moderni, prodotti della biologia (biotech) ottenuti elaborando cellule del sangue o dei tessuti, attraverso complicate tecniche di purificazione e di ingegneria genetica. Oggi i farmaci biologici costituiscono il 30% del mercato (erano l’11% nel 2000) sono quelli più avanzati, su cui si fa affidamento per affrontare alcune delle malattie più gravi (cancro, malattie autoimmuni, sclerosi multipla) ma sono soprattutto i farmaci del futuro.

I “replicanti” hanno lo stesso valore terapeutico? Il problema che si pone, però, è il seguente: è possibile “copiare” molecole così complesse, ottenere cioè dei “replicanti” che abbiano lo stesso valore terapeutico? Il quesito lo poniamo al professor Giorgio Cantelli Forti, farmacologo e preside del Polo Universitario di Rimini.
“La questione non è solo accademica o inerente al marketing delle aziende farmaceutiche. I farmaci biologici, tra i tanti pregi, hanno un grande difetto: sono cari e sono causa di lamentele di Ausl e Amministrazioni Regionali per l’alta incidenza dei costi. Il poter disporre di copie valide, e meno costose, potrebbe alleviare la sofferenza economica dei sistemi sanitari”.
Una questione più importante, al di là degli aspetti economici è: ci si potrà fidare ed affidare ai biosimilari?-“Su questo tema è in corso un dibattito. Esiste un problema di sicurezza perché le molecole dei biologici sono grandi, complesse e instabili. Ogni molecola è prodotta da un singolo processo industriale e bastano piccole variazioni nella catena produttiva per cambiarne le caratteristiche. È quindi praticamente impossibile produrre farmaci identici. Ci sono inoltre problemi di contaminazione, non solo nella produzione (es. trasporto) aggravati dal fatto che questa è globalizzata ed avviene in paesi dell’oriente come l’India. Da una singola fabbrica il farmaco va in tutto il mondo e d’altra parte i principi attivi arrivano da tutto il mondo”.
Il problema dei trapiantati. Un altro problema spinoso. La spending review andrà a colpire anche pazienti che hanno subito un trapianto d’organo: oggi il rischio di rigetto potrebbe innalzarsi a causa della sostituzione dei farmaci immunosoppressori, i “griffati” (ampiamente testati clinicamente sul paziente) con dei farmaci teoricamente equivalenti, ma i cui effetti non sono completamente prevedibili.
La tenace battaglia legale di Tonino Badaracchi, romano, trapiantato di cuore nonché presidente di Acti (Associazione Cardiotrapiantati Italiani) ha ottenuto un importante risultato. Dal 13 settembre, infatti, la Regione Lazio ha deciso di non servirsi più dei farmaci equivalenti per i trapiantati di rene, cuore, fegato, polmoni, pancreas. Perché si è pervenuti a questa decisione?-
“Il problema riguarda la reale efficacia di questi nuovi equivalenti. Visto che è impossibile realizzare copie identiche dei biologici, tant’è che si chiamano biosimilari, cosa garantisce medici e pazienti sul fatto che funzionino come le molecole originali? L’idea è che i biosimilari non devono seguire le normali procedure che accompagnano l’approvazione di nuovi farmaci, ma devono dimostrare la loro equivalenza terapeutica ai farmaci di marca che vanno ad affiancare”.
A livello nazionale però la questione non è risolta. Allora, come sarà la procedura che adotteranno le altre Regioni? A questa domanda risponde il dottor Domenico Motola, Ricercatore Farmacologico Tecnico Università di Bologna.
“Il problema non si pone sui pazienti già in cura, coi biosimilari la faccenda è più complicata. Possono avvenire piccolissime differenziazioni da un lotto all’altro (durante la preparazione) anche su due lotti dello stesso brend ci possono essere differenze per l’attività del principio attivo. A mio modo di vedere sarebbe opportuno continuare la terapia coi farmaci antirigetto griffati sui vecchi trapiantati mentre per il nuovo trapiantato il medico potrà prescrivere un farmaco antirigetto generico, dopo un attento studio farmacocinetico e farmacodinamico, per non correre rischi estremi. È ovvio che per i pazienti in trattamento con farmaci a marchio è stata fatta la titolazione della dose e la personalizzazione della terapia (switch terapeutico).

Laura Carboni Prelati