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Educare? È un tiro alla fune!

Da una parte il genitore con le sue regole, dall’altra il figlio che da quella figura che ha sempre rappresentato una guida indiscussa, comincia a distanziarsi per stabilire un nuovo equilibrio di forze. Il rapporto di un padre e di una madre con un ragazzo che si affaccia all’adolescenza, può essere visto così, come una gara di tiro alla fune. A rendere l’immagine è il dottor Alberto Pellai, psicoterapeuta dell’età evolutiva, autore di oltre 150 testi scientifici e di una Lettera alla figlia Alice, diventata un recente libro per le edizioni San Paolo.
In questo gioco di forze al padre “riuscirebbe facile vincere: basterebbe dare uno strattone alla corda” per trascinare il figlio “nella propria metà campo” e obbligarlo ad essere obbediente. Accanto a questi genitori fin troppo autoritari (ma non sempre autorevoli) ci sono però, aggiunge, anche tanti padri che “decidono di mollare subito la fune”. Con un altro rischio: che dall’altra parte il ragazzo, “impegnato a tirare al massimo della sua potenza, si ritrovi allo sbando”.
Pellai è stato uno dei relatori del convegno “I pre-adolescenti e i loro mondi vitali” organizzato dalla Diocesi di Rimini venerdì 25 e sabato 26 gennaio in Sala Manzoni. Oltre 500 gli iscritti tra sacerdoti, religiosi, catechisti, insegnanti, educatori e genitori. Tutti desiderosi di confrontarsi su una fascia d’età particolarmente critica come quella tra gli 11 e i 14 anni.

Quelle ali in dono. È questa l’età in cui “si comincia a costruire una nuova idea di se stessi”, ha spiegato Pellai, in cui l’adulto “diventa un estraneo”, in cui si “chiede in dono un paio d’ali” per proseguire da soli, più o meno autonomamente, nel cammino della vita. In quest’ottica, l’educatore diventa un ottimo allenatore “quando aiuta, accompagna e sostiene il lavoro di montaggio e smontaggio dell’identità dei figli, facendo attenzione che non si rovinino o, peggio, non si perdano dei pezzi”. I pre-adolescenti, prosegue Pellai, “vogliono sapere di essere protetti anche nel momento della caduta”. Costruire un paio d’ali per loro è faticoso ma straordinario. “Se sei un bravo allenatore – conclude il medico – vedrai i figli andar via, volare utilizzando quelle ali che tu hai aiutato loro a costruire”.

Responsabilità collettiva. Sulle difficoltà e gioie dell’educare il Vescovo Francesco Lambiasi ha lanciato tre scintille. La prima: “Solo il noi educa”, ha esordito ricordando l’episodio del Vangelo di San Luca in cui Gesù dodicenne si smarrisce e viene ritrovato al tempio da Maria e Giuseppe mentre parla con i Dottori. “Giuseppe e Maria – commenta il Vescovo – non si accorgono della mancanza di Gesù. Gli adulti a volte non si rendono conto di averli già perduti, i figli. Ma i genitori di Gesù tornano indietro, mentre tanti educatori tirano dritto anche in presenza di errori”.
Ma questo brano del Vangelo mette anche in evidenza che “l’azione educativa è sempre responsabilità di un noi: di un padre e di una madre, di genitori, di insegnanti ed educatori”. E ha bisogno di “alleanze e sinergie, tra famiglia, scuola, società e comunità cristiana”.
La seconda scintilla ha il sapore della sfida: “L’emergenza educativa è una sfida soprattutto per gli adulti, chiamati a riappropriarsi del loro ruolo, in una società che ne ha estremo bisogno”.

Spazio vitale. Un rischio molto forte oggi, è che “il mondo dei pre-adolescenti non vada oltre la panchina, il divano di casa o, al massimo, la pagina Facebook”. In quest’ottica, un antidoto arriva dall’oratorio, secondo don Andrea Ciucci, del Pontificio Consiglio per la Famiglia. È in questo spazio “vitale, relazionale ed educativo”, commenta, che si può “mettersi in gioco e allargare i propri orizzonti”. È qui che si può trovare non solo un luogo di preghiera (“e non è vero che i ragazzi di oggi non sono abituati a pregare” precisa il sacerdote) ma anche uno spazio che provoca e può stimolare le loro libertà. Non è un caso, ricorda don Ciucci, se “molte esperienze vocazionali hanno avuto un loro primo germoglio proprio in questi anni di pre-adolescenza”.
Non sono casuali, dall’altra parte, neppure le domande provocanti e i dubbi su Dio e la fede che questi ragazzi sono soliti porre agli educatori. In molti casi si tratta di un preludio a quella fuga che tante parrocchie, anche nella nostra diocesi, riscontrano dopo la Cresima.

La famiglia e la scuola. Che la responsabilità educativa sia collettiva e che sia fondamentale un’azione di sinergia tra famiglia, scuola, società e comunità cristiana, lo sottolinea anche Elena Malaguti, docente di Pedagogia all’Università di Bologna. “Anche le pubbliche amministrazioni devono cominciare ad assumersi la responsabilità dei servizi che offrono a questi ragazzi. Non ci sono solo il bowling, la discoteca o il McDonald’s: dobbiamo creare valore proponendo nuove vie e nuovi temi generatori”.
La scuola, in particolare, come si inserisce in questo percorso? Due le priorità per Ornella Scaringi, presidente diocesano UCIIM e dirigente scolastico. Da una parte, la segnalazione tempestiva delle problematiche minorili, a cominciare dal bullismo. “Ma è soprattutto il contesto familiare – avverte – a dover condividere con la scuola la funzione di educare alla legalità e alla socialità”. Dall’altra la prevenzione della dispersione scolastica, “che colpisce il 30% degli studenti”.
Interessante anche il punto di vista esperenziale riportato da Debora Natili, coordinatrice dell’area minori della Cooperativa Il Millepiedi. 400 i ragazzi dai 6 ai 18 anni seguiti nei dodici Gruppi Educativi Territoriali attivi in provincia. “La grande sfida di ciascuno di noi che, a vario titolo, si occupa di bambini e ragazzi – afferma – è fare una parte di strada insieme a loro senza mai sostituirci, ma renderli protagonisti”. Una cosa è accompagnarli, un’altra è sostituirsi alle loro fragilità.
Sulle conclusioni del convegno, a cura di don Tarcisio Giungi, vicario per la Pastorale, è prevista un’ampia intervista sul prossimo numero.

Alessandra Leardini