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Don Tino: in piccola parrocchia prete del mondo intero

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Una bella infornata di sette preti nel 1948, quando la diocesi riminese cerca di rinascere dalla guerra. Consacrante l’indimenticabile Vescovo Luigi Santa. Fra essi il vispo Sante Mancini, che sarà chiamato per sempre don Tino.
Nato a San Paolo dell’Uso, abitante a Sogliano, babbo mediatore e commerciante, anch’egli saprà districarsi negli affari e nei compiti della vita. Scende alla foce dell’Uso, come cappellano nella giovane parrocchia di Bellaria con don Giuseppe Canini, contento come lo sarà per tutta la vita, pronto nel servizio a Cristo e al popolo di Dio.
Sempre interessato alle vicende della cittadina, dell’Italia, del mondo. È il periodo di don Camillo e Peppone. Don Tino ha la furbizia, il saper fare il saper comprendere tutti, il saper accordarsi con tutti.

Ben presto è parroco a S. Martino in Converseto, poi dopo qualche anno passa all’altra sponda del Rubicone: a San Martino di Bagnolo, al quale sarà fedele fino alla morte.
Il dovere pastorale è per piccola parrocchia, ma don Tino è prete universale… per tutta la vallata, per il vicariato, per tante chiese. Arriva alle valli della Rigossa e del Savio: ha amicizie a Borello, Sorrivoli, Montenovo, Montiano, Calisese. Celebra sante Messe in diverse chiese dove è chiamato.
Perché è così conosciuto? Perché riesce a trovare il posto di lavoro a tante persone che lo cercano, perché risolve problemi economici a persone in difficoltà, perché ascolta la gente nei suoi problemi e aspettative. È il suo modo di amare la gente, di vivere il comando del Signore di amare il prossimo come se stesso.

Allarga poi il suo servizio pastorale alla parrocchia di S. Lucia di Savignano al tempo di don Melchiorre Baroni e con i suoi successori.
Al mattino scende presto dalle colline per aprire la chiesa di Santa Lucia e lavorare nella segreteria della parrocchia, al pomeriggio risale veloce a Roncofreddo per aiutare don Fernando Della Pasqua ed intessere con lui vita fraterna. Quanto bene ha ricevuto la sua anima da questa vita fraterna!
Don Tino amava leggere i giornali: si appassionava alle vicende del mondo, della Chiesa cattolica e della Chiesa riminese, ma non dava giudizi sulle varie questioni. Conosceva anche l’andamento della finanza e della borsa: così ha potuto guadagnare qualcosa per i poveri e per opere della sua parrocchia e di quelli di Roncofreddo, come il dotarla di un bellissimo organo ed aiutare il nuovo asilo parrocchiale.

È stato amico di tutti: è venuto a contatto con i Sardi che erano giunti sulle colline romagnole. Ad essi ha fatto sentire la vicinanza della Chiesa. È stato ricambiato da tanta benevolenza e da tanti… formaggi.
Ha raggiunto più volte l’isola sarda, in particolare Orgosolo e la Barbagia, dove ha coltivato l’amicizia con tanti, con i parroci sardi ed anche con la mamma del bandito Mesina.
Ha trovato il modo di pellegrinare più volte a Medjugorje, per stare con i pellegrini ed indagare sulle apparizioni della Vergine. Andava contento e pacifico in questa località, ma non ha mai espresso giudizi suoi a favore o contro queste apparizioni. Lui semplicemente amava la Madonna e la santa Chiesa.
La caratteristica della vita di don Tino è stata quella di essere amato e stimato dalle autorità civili e dall’umile popolazione: lo si è notato anche nel giorno dei funerali.
Sempre allegro, canterellava vecchie canzoni e declamava poesie: questo era segno di grande pace. Ringraziava il Signore per la vita lunga ed in salute.

Ma era pronto alla Croce. Quando è arrivata, è rimasto sereno, perché l’aveva messa in conto. Era pronto a sopportare tutto. Così è stato.
Era in cammino verso la dimora di luce e di pace: gli sono state tagliate le gambe. Come ha detto il Vescovo Francesco: “Il Signore, al posto delle gambe, gli ha dato le ali per volare alla meta”.
Tutto il popolo – da Savignano a Roncofreddo a Bagnolo – per tre giorni ha seguito il volo di don Tino.
Sì, lo abbiamo raccomandato alla misericordia del Padre, ma abbiamo anche detto al fedele servo della Chiesa: “Grazie, don Tino”.

Vittorio Mancini