Home Attualita Disposofobia: quando casa è una discarica

Disposofobia: quando casa è una discarica

Il tema del disagio umano, al giorno d’oggi, soffre di un difetto di percezione. In generale, quando si parla di persone in stato di bisogno, la concezione più diffusa è quella dell’indigente, dell’uomo che chiede l’elemosina, del senzatetto che dorme ai margini della strada. La costante, dunque, è la causa economica. Ma il disagio, purtroppo, non è necessariamente dato dal denaro.
La realtà di oggi, dominata e plasmata dai social network, ci insegna che chi ha più amici vince, è migliore. Faticare ad integrarsi o a socializzare è percepito quasi come una colpa, e questo può causare forme di disagio psicologico talmente acute da portare non solo a casi di alienazione e auto-segregazione, ma anche a vere e proprie patologie.

Disposofobia e “barbonismo domestico”
Patologie che possono sfociare in situazioni estreme. Come nel caso della Disposofobia, conosciuta anche come ‘Disturbo da Accumulo Patologico’ o ‘Hoarding Disorder’. È la patologia che dà vita ai cosiddetti accumulatori seriali, di cui spesso si parla: persone che soffrono di un bisogno ossessivo non solo di acquisire una quantità eccessiva di beni, la maggior parte dei quali inutili, ma anche di non gettarli mai via, trasformando l’abitazione in una vera e propria discarica. Un disturbo che può diventare pericoloso: tra gli oggetti che non vengono gettati c’è anche la spazzatura, causa di numerosi problemi a livello igienico e sanitario, aggravato nei casi in cui chi ne soffre viva assieme a bambini, anche molto piccoli. Ma non solo. La Disposofobia (“paura di gettare via”, dall’inglese to dispose) molto spesso si associa ad un’altra patologia: la Sindrome di Diogene, disturbo psicologico che porta chi ne soffre a trascurare le proprie necessità di base, come l’igiene personale e le cure sanitarie. Assieme, questi due disturbi portano i soggetti a vivere sì in casa, ma in condizioni di degrado non troppo diverse da quelle di un senzatetto, dando vita al fenomeno del cosiddetto “barbonismo domestico”.
Vere e proprie situazioni al limite, che trovano più di un collegamento in quella difficoltà di integrazione sociale anticipata in apertura.

Alienazione e segregazione
Dal punto di vista degli studi (notevolmente intensificati nell’ultimo decennio) fino a qualche anno fa si riteneva che il Disturbo da Accumulo fosse una manifestazione secondaria del Disturbo Ossessivo Compulsivo (DOC), ma nell’ultima edizione del DSM V (Manuale diagnostico e statistico dei disturbi mentali, American Psychiatric Association, 2013) ha ricevuto una propria categorizzazione, con l’individuazione di criteri diagnostici propri. Questo permetterà di intensificare le ricerche sul disturbo, anche se spesso la sua manifestazione non è pura, ma associata ad altre patologie psicologiche. L’elemento che, però, colpisce di più è la trasversalità ed eterogeneità dei soggetti che possono esserne colpiti. E questo può indicare il fatto che a causarle siano fattori indipendenti da età, sesso o condizione economica. Spesso, infatti, le cause di chi soffre di Disposofobia o di “sindrome da barbonismo domestico” sono individuabili nel rapporto col prossimo, in difficoltà relazionali e di socializzazione che impediscono la corretta integrazione, provocando una sorta di alienazione dal mondo esterno alla quale si cerca di reagire attraverso una vera e propria auto-segregazione all’interno della realtà domestica.

Parola al professionista
“Il Disturbo da Accumulo consiste principalmente in un modello di comportamento caratterizzato dall’incapacità di eliminare alcunché dai propri spazi vitali, talvolta accompagnato dall’eccessiva acquisizione di oggetti fino al punto da rendere inutilizzabili o pericolosi quegli stessi spazi dell’individuo”, spiega il dottor Alessandro Montenero, psicologo e psicoterapeuta di Rimini (foto in basso), interpellato sull’argomento. “L’accumulo di beni causa disagio clinicamente significativo o compromissione del funzionamento in ambito sociale, lavorativo o in altre aree importanti, incluso il mantenimento di un ambiente sicuro per se stessi o per gli altri”. Come si sviluppa questa patologia? “È un disturbo che si sviluppa e si consolida in un ampio ventaglio temporale, un problema di lunga data, non si tratta di un processo transitorio. Le principali ragioni che vengono usate per giustificare l’accumulo sono l’utilità percepita, il valore estetico o il forte legame affettivo con gli oggetti, anche se privi di un reale valore, quali volantini, giornali, bottiglie, borse, libri, posta, documenti, oggetti preziosi mischiati con quelli di minor valore. Talvolta, però, possono essere accumulati anche animali. La conservazione è intenzionale e questo differenzia il disturbo dalle forme di psicopatologia che si caratterizzano per l’accumulo passivo di oggetti. Altre caratteristiche di chi soffre di un Disturbo da Accumulo sono una forte indecisione, la tendenza al perfezionismo, l’evitamento, la procrastinazione, le difficoltà di pianificare e organizzare attività e la distraibilità”.
Come intervenire a livello psicologico? È possibile una prevenzione? “La prevenzione – continua il dottor Montenero – andrebbe fatta fin dalle prime fasi della comparsa degli atteggiamenti tipici delle personalità che sviluppano un Disturbo da Accumulo, mentre il trattamento va organizzato sulla base delle singole situazioni e sulla specificità della persona, tenendo presente una diagnosi della personalità complessiva e strutturata attraverso la quale intervenire sulle aree patologiche. Nello specifico, le aree nelle quali si sviluppa e si consolida il disturbo sono tre: difficoltà cognitive, come quella a capire il reale valore degli oggetti o a prendere decisioni su cosa farne; credenze patogene sui propri beni, come un eccessivo attaccamento emotivo o il forte bisogno a mantenere un controllo su di essi; stress emotivo connesso alla loro eliminazione”.

I dati
Dottor Montenero, queste le caratteristiche e lo sviluppo del Disturbo da Accumulo. Ma quanto è diffusa questa patologia? “Il disturbo, sulla base dei dati epidemiologici al momento disponibili, sembra avere una prevalenza nella popolazione europea che oscilla tra il 2% e il 6%. Colpisce sia maschi sia femmine, anche se alcuni studi epidemiologici hanno riportato una prevalenza maggiore nei maschi. I sintomi dell’accumulo sembrano essere quasi tre volte più rilevanti in individui più anziani (55-94 anni) rispetto ad adulti più giovani (34-44 anni). L’accumulo sembra esordire precocemente nella vita e si estende fino alla senilità. In genere i sintomi emergono attorno agli 11-15 anni e iniziano a interferire con il funzionamento quotidiano verso i 25 anni, con la gravità dell’accumulo che aumenta a ogni decade di vita. Una volta che i sintomi hanno inizio, il decorso dell’accumulo è spesso cronico, con poche oscillazioni sintomatologiche”.

E a Rimini?
“Le persone che soffrono di Disturbo di Accumulo – conclude il dottor Montenero – raramente chiedono un aiuto professionale, spesso sono i familiari a farlo quando la situazione diventa insostenibile. In altre circostanze le condizioni di accumulo sono spesso tenute nascoste e vengono scoperte solo nel momento in cui il degrado viene all’attenzione delle istituzioni sanitarie o delle forze dell’ordine. La prevalenza del disturbo nel territorio, dunque, va considerata nel range del 2-6%, come si evince dagli studi epidemiologici condotti nei paesi industrializzati”.