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Di testa o di pancia?

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Sulle ultime settimane di una campagna elettorale che la rivista dei gesuiti italiani, Aggiornamenti sociali, ha definito “la più rumorosa e più vuota di contenuti della storia della Repubblica”, adesso peserà anche l’ombra sinistra della violenza razzista. Del resto, quando la ricerca del consenso si basa sull’esasperazione dei toni e sulla sollecitazione delle paure, invece che sul confronto tra proposte realistiche e candidati credibili, si crea il clima ideale perché l’escalation della violenza mediatica (ma ci si può limitare a definirla così?) raggiunga gli estremi che si sono registrati nei confronti della presidente della Camera, Laura Boldrini. O perché addirittura si arrivi a gesti criminali, come quello di Macerata, che nel nostro Paese non si erano mai visti.
Agiscono in maniera convergente due dinamiche negative. C’è un discorso più generale che riguarda la diffusione di un sentimento sociale di rancore collettivo che finisce indirettamente (ma neanche troppo indirettamente) per legittimare l’odio come categoria politica. E c’è un discorso più specifico che investe la questione degli immigrati. Questione capitale del nostro tempo, con implicazioni sociali di enorme rilevanza e complessità, su cui proprio per questo la politica dovrebbe dare il meglio di sé, nell’inquadrare correttamente il problema e, conseguentemente, nel proporre soluzioni all’altezza dei valori in gioco.
Pochi giorni fa l’Eurispes, sulla base di un sondaggio recentissimo, confermava ancora una volta la percezione totalmente alterata che gli italiani hanno della presenza degli stranieri nel nostro Paese. Senza nulla togliere alla responsabilità dei cittadini di informarsi adeguatamente, ci sono partiti che avallano o alimentano costantemente l’equivoco su una presunta “invasione”, messaggio che fa breccia soprattutto nelle fasce sociali più deboli e quindi più insicure, il cui disagio andrebbe preso in carico seriamente e non strumentalizzato a fini di consenso. Invece questa campagna elettorale ci ha regalato persino la perla di sentire “evocare discorsi sulla razza che pensavamo fossero sepolti definitivamente”, per usare le parole del cardinale Bassetti.
Se nelle poche settimane che ci separano dal voto la politica si dimostrasse capace di un cambio di marcia e di toni, forse potrebbe recuperare un po’ di quell’autorevolezza. Se questo chiama in causa i partiti, la risposta più efficace è però nelle mani degli elettori. Innanzitutto con la partecipazione al voto, evidentemente, e poi valutando le opzioni in campo con consapevolezza e senso di responsabilità. Per decidere con la testa e non con la pancia.

Stefano De Martis