Home Attualita Depressione, un nemico invisibile

Depressione, un nemico invisibile

Sentirsi intrappolati in un circolo vizioso, e avere la soffocante sensazione che, da questo circolo, non vi sia alcuna speranza di uscire. La depressione è una patologia psichica subdola, invisibile e dai sintomi facilmente confondibili con le normali reazioni alle ‘botte’ che la vita, inevitabilmente, dà a tutti. E una malattia estremamente diffusa.

Secondo i dati dell’Istat, pubblicati negli ultimi mesi, la depressione è il disturbo mentale più diffuso nel nostro Paese: si stima che in Italia superino i 2,8 milioni (5,4% delle persone di 15 anni e più) coloro che ne hanno sofferto nel periodo di riferimento dell’analisi (2015-2017). Ed è un fenomeno che si acutizza con l’aumentare dell’età: dal 5,8% della popolazione affetta tra i 35 e i 64 anni, si passa al 14,9% delle persone oltre i 65 anni. Ma come nasce il disturbo depressivo? Quali le cause e, soprattutto, come affrontarlo? Rispondono a queste domande gli psicologi e gli psicoterapeuti dell’associazione riminese L’Arco, un gruppo di professionisti riuniti per occuparsi di formazione e prevenzione in ambito psicologico, organizzando seminari e gruppi di incontro per genitori e insegnanti.

Innanzitutto: cos’è la depressione?
“La depressione è una delle possibili risposte ad uno squilibrio affettivo che si viene a creare ogni qualvolta nella nostra vita ci ritroviamo a vivere una situazione di perdita. Questa perdita può essere relativa ad una situazione reale, come una persona cara, il lavoro o la casa, oppure interiore (la stima di sé, la solitudine, ecc.). In ogni caso, questa perdita comporta un dolore, uno stato di tristezza e sofferenza. La nostra psiche cerca sempre di reagire a questo stato, nel tentativo di ripristinare un nuovo benessere. Questo può portare a un adattamento progressivo, che solitamente comporta una crescita per la persona che lo realizza”.

Un adattamento che non è scontato raggiungere.
“Quando l’individuo non trova dentro di sé le risorse per fare questo passaggio, può vivere un grande senso di impotenza e di perdita di speranza, trovando così come unica risposta adattativa la depressione. In questo modo si crea una condizione che permette di attutire lo stato di dolore e di sofferenza, rendendolo sopportabile, ‘mettendo la sordina’ alle emozioni che quel dolore porta con sé”.

Le emozioni negative che si provano di fronte a lutti e delusioni, possono avere un risvolto positivo?
“Situazioni di delusione, di perdita, di lutto sprigionano nell’individuo emozioni molto forti. Tra queste emozioni la rabbia ha un ruolo cruciale, in quanto può costituire innanzitutto uno sfogo della tensione interna creata dal dolore e, secondariamente, offrire una spinta per mettere in atto delle reazioni di protesta attiva contro lo stato delle cose. Questa rabbia, se ben incanalata, può giocare un ruolo molto positivo, perché può mettere in moto risposte adattative per far fronte al cambiamento. Al contrario, l’aggressività non scaricata o inibita svolge un ruolo significativo nella genesi della depressione: può generare sentimenti di colpa, sentimenti negativi relativi a se stessi e agli altri, e viene compromesso il modo in cui una persona ragiona, pensa e raffigura se stessa, chi la circonda e il mondo. Allo stesso tempo, però, la depressione ha il potere di bloccare la motricità e ciò può essere inizialmente un aiuto a non far male agli altri o a se stessi, e può essere un’occasione che costringe a fermarsi per pensare, per riposare, per riporre le armi o sgomberare il terreno psichico da tante sensazioni mal digerite. A lungo andare, però, la reazione depressiva descritta comporta grandi costi per l’individuo sul piano personale: la vita si limita e le relazioni si impoveriscono. Se ciò avviene, c’è il rischio di una cronicizzazione: inizia un ritiro sociale, un blocco evolutivo e la vita si arena”.

Quanto influiscono le brutte esperienze del passato sulla predisposizione alla depressione?
“La cronicizzazione della depressione è maggiormente probabile in chi ha sperimentato nella propria infanzia una cura e un’attenzione non adeguate rispetto ai propri bisogni affettivi e alle esigenze di tutela a fronte di esperienze traumatiche, tra cui per esempio l’esperienza di crescita con un familiare depresso o importanti lutti avvenuti durante l’infanzia. In queste situazioni, in cui la sensazione è quella di vivere un circolo vizioso senza via d’uscita, può essere utile rivolgersi ad uno psicologo/psicoterapeuta”.

Qual è, e quanto è importante il ruolo dello psicoterapeuta?
“La psicoterapia permette di prendersi cura della sofferenza psichica attraverso la relazione che si stabilisce con il terapeuta. Proprio la relazione è l’elemento fondamentale. Utilizzando il colloquio, la parola e la riflessione si può giungere alla comprensione di quanto sta accadendo e alle cause del disagio”.

Quali sono i segnali che possono indicare che da una fisiologica elaborazione di una perdita si sta passando a una situazione patologica?
“L’inizio di una depressione vera e propria può essere anticipato da alcuni campanelli di allarme, come ad esempio l’insonnia, soprattutto mattutina, o una rabbia costante e persistente. Da tenere d’occhio, inoltre, situazioni di intensa gelosia nei rapporti, vissuti come fusionali e totalizzanti, in cui il senso di possessività verso l’altro è sentito in modo molto intenso. In queste fasi iniziali potrebbe essere opportuno ed efficace un intervento all’interno di gruppi di sostegno e supporto, in cui il confronto con l’altro, la condivisione dei vissuti e la riflessione sulle esperienze può facilitare la ripresa e promuovere la ricerca di nuove risposte adattative”.

Quanto influisce il mondo moderno sulla diffusione della depressione?
“Parlando di depressione è importante considerare il ruolo che ha la discrepanza tra l’immagine di come si desidererebbe idealmente essere e di come invece ci si vede e ci si percepisce. Questa discrepanza, fonte di ansia e di dolore, è già difficile di per sé da gestire ed è resa ancora più insostenibile dalla cultura occidentale di oggi che promuove ideali sempre più irraggiungibili: essere sempre giovani, in forma, vincenti, di successo, felici e soddisfatti. In questa tensione ci si sente sempre in ritardo e inadeguati, in particolare per chi cresce in un contesto familiare in cui vincere e perdere è importante, dove sbagliare e ’rimanere indietro’ è vergognoso e dove circolano conflitti competitivi. Una riflessione a parte, inoltre, meriterebbe il ruolo che hanno le nuove tecnologie e i social media, che offrono esperienze di soddisfazione narcisistica, di inclusione sociale e di facilità di soddisfazione dei propri bisogni che però, molto spesso, possono rivelarsi rivelarsi illusorie, evanescenti e passeggere”.

Come giudicate i dati Istat pubblicati di recente, relativi all’incidenza e alla diffusione della depressione in Italia?
“Dall’analisi degli ultimi dati Istat emerge che la depressione è una malattia preoccupante, ma che la sua incidenza e quella dei casi di suicidio in Italia è inferiore rispetto alla media degli altri paesi europei (6 ogni 100mila residenti, contro gli 11 della media europea). Sono da tenere in considerazione due dati, a nostro parere importanti. Negli anziani la depressione è più frequente rispetto alle altre fasce di età. Questo ci permette di ipotizzare, dunque, che il sopraggiungere di perdite importanti, come quelle legate alla condizione fisica (malattia, perdita di autonomie) e a condizioni di maggior solitudine, espongano ad una maggiore vulnerabilità. Il secondo dato è legato alle persone che vivono in condizioni economiche e sociali svantaggiate. La precarietà del lavoro e l’insicurezza economica, oggi molto diffuse, ma anche il contesto sociale in cui si vive possono influenzare sensibilmente il benessere psichico di ogni individuo”.