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Depressione, la malattia del secolo

La chiamano patologia dell’umore. Tecnicamente si tratta di un vero e proprio disturbo caratterizzato da un insieme di sintomi cognitivi, comportamentali, somatici ed affettivi che, nel loro insieme, sono in grado di diminuire in maniera da lieve a grave il tono dell’umore, compromettendo il “funzionamento” di una persona, nonché le sue abilità ad adattarsi alla vita sociale. Stiamo parlando della depressione, una malattia che in Italia colpisce migliaia di persone. Ne abbiamo parlato con la dottoressa Jessica Stolfi, psicologa e psicoterapeuta, che a San Mauro Pascoli ha creato un progetto ad hoc.
Dottoressa, quant’è diffusa la depressione in Italia?
“Un milione e mezzo di persone in Italia soffrono di depressione e si stima che il numero sia in drammatico aumento. Salgono invece a 6 milioni le persone che nel nostro paese hanno sofferto almeno una volta nella vita di un episodio depressivo. Le donne, soprattutto nella fascia di età che va dai 50 ai 60 anni, sono colpite in misura doppia rispetto agli uomini da questa malattia. Bisogna anche riflettere sul fatto che il disagio non rimane mai confinato alla singola persona, ma si ripercuote spesso anche sugli altri componenti del nucleo familiare. Pensiamo a quanti bambini e adolescenti crescono in ambienti fortemente condizionati da questo clima di disagio”.

Come viene affrontata la malattia?
“Purtroppo in molti casi c’è la tendenza a minimizzare o peggio a nascondere il problema. Il mancato intervento terapeutico fa sì che un disagio latente degeneri in malattia vera e propria. La depressione è difficile da riconoscere e spesso si è portati ad attribuirne i sintomi allo stress, ai ritmi frenetici che dominano il vivere quotidiano e alle condizioni personali di vita. In questo caso ho notato una differenza sostanziale tra i generi: mentre l’uomo tende ad attribuire la ragione del proprio disagio a cause esterne, spesso legate alle dinamiche professionali, la donna è più propensa a spostare su di sé, ad interiorizzare, tali cause”.

La forte crisi economica che stiamo vivendo, il fenomeno della disoccupazione, quanto possono influire sulla diffusione della depressione?
“Senz’altro l’attuale periodo di crisi economica e morale unito alla drammatica ascesa della disoccupazione acuiscono il diffondersi di patologie depressive. Va però notato che il fenomeno della crisi contagia negativamente in maniera maggiore gli uomini, il cui umore dipende in maniera più diretta dal proprio sviluppo professionale ed economico. La donna culturalmente ha da sempre trovato la propria realizzazione anche in ambiti più legati alla dimensione privata, familiare, e meno dipendenti da quella economica. Quello che oggi grava su molte donne, spesso giovani, è un senso di insicurezza, di precarietà nella costruzione del proprio avvenire. Manca una base concreta e solida da cui potere gettare uno sguardo limpido sul futuro”.

Un altro fenomeno diffuso sul nostro territorio è quello dell’immigrazione. L’entrare a contatto con una lingua, usi e costumi diversi dai propri può ripercuotersi in maniera negativa sull’umore?
“Spesso il fenomeno depressivo è legato alla solitudine. Molti immigrati non avendo legami esterni alla propria famiglia vivono questa dolorosa realtà di separazione dal mondo. Molte donne straniere che vivono in una situazione di totale anonimato, trascorrono la maggior parte della giornata tra le mura delle proprie abitazioni, i contatti con l’esterno si riducono spesso per loro a sporadiche formalità. Proprio per questo uno degli obiettivi del percorso proposto è senz’altro quello di allargare la rete esterna di relazioni e di combattere l’isolamento. Si insisterà molto sull’importanza di coltivare le proprie amicizie, di valorizzare le proprie aspirazioni, protraendole anche all’esterno del nucleo familiare”.

L’intera società oggi è scossa dai tanti drammatici episodi di violenza di cui le donne cadono vittime.
“Senz’altro il clima diffuso di violenza intensifica il problema. Ricordiamo che anche sul nostro territorio si sono verificati diversi casi di violenza sulle donne. Purtroppo molti di essi rimangono chiusi, celati per paura o vergogna all’interno delle mura domestiche. Il mio intento, con questo percorso, non è di additare il genere maschile come causa del male. Non vorrei dare al progetto una connotazione femminista. È giusto parlare in questi casi di realtà relazionali che si sviluppano in intrecci dinamici, di cui è protagonista tanto l’uomo quanto la donna. È un problema di relazione e di interazione tra le parti”.

Giacomo Vaccari