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Dei libri e del loro destino

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Ogni tanto bisogna disfarsi dei vecchi giornali, un genere di stampa che è difficile mantenere sotto controllo e che finisce per invadere rapidamente e disordinatamente la casa. Pur di rado e con riluttanza, perché ho sempre paura che mi sia sfuggito qualcosa di importante, anch’io ogni tanto mi sforzo di liberarmene. E appunto durante questa operazione l’altro giorno mi è venuto sotto agli occhi uno stelloncino anonimo della Domenica de “Il Sole 24 ore” di alcuni mesi fa (30 ott. 2016). Racconta che lo scrittore Philip Roth ha lasciato alla sua città l’intera biblioteca personale (quattromila volumi); e che la città, “grata e riconoscente”, addirittura ha fatto costruire nella biblioteca civica una nuova sala apposta per accoglierla. La città è Newark, nel New Jersey. Il breve scritto si conclude con questo interrogativo: “Qui da noi un dono simile avrebbe trovato una simile accoglienza, o piuttosto una lunga se non interminabile giacenza nelle tenebre di un deposito?”.
L’interrogativo è ottimista; da noi i libri si rifiutano. È di appena qualche settimana fa la notizia appunto del rifiuto del Comune di Cesena di una generosa donazione libraria. Una signora cesenate aveva lasciato per testamento la sua biblioteca domestica di cinquemila e più libri alla “Malatestiana”: le autorità comunali, anziché rallegrarsene, si sono subito allarmate e poi l’hanno rifiutata con questa motivazione: non abbiamo più posto e non si tratta di opere interessanti; ci sono troppi inutili libri di cucina, di scuola e di viaggi. Dunque non solo il dono offerto alla comunità (di oggi e soprattutto di domani) è stato rifiutato, ma la donatrice è stata in un certo senso tacciata di presunzione (non è presunzione, infatti, il voler affiancare la propria modestissima libreria a quelle di Malatesta Novello e di Federico Comandini?).
La questione non è nuova: le biblioteche sono tutte piene e da un pezzo non sono più in grado di accogliere e di gestire altri libri per la scarsità di personale. I possessori di libri dunque si rassegnino a pensare che le loro librerie saranno destinate all’apposito cassonetto dei rifiuti per il macero o per il rogo (il pensiero corre inevitabilmente al celebre Fahrenheit 451, ma lasciamo perdere); e non solo i lettori e i possessori di libri di cucina o di viaggi, ma anche gli studiosi che hanno sistematicamente accumulato libri di studio, e che debbono ad essi la formazione della loro personalità e la genesi dei loro lavori.
Negli ultimi decenni è andata bene a Federico Zeri, certo per l’invadente popolarità del personaggio e forse più a causa della sua fototeca che dell’imponente biblioteca. Più vicino a noi, è andata bene anche ad Augusto Campana, grazie al suo prestigio e all’appassionata ammirazione di alcuni autorevoli amici. Il Fondo a lui intitolato, acquistato nel 1998 dalla Fondazione Cassa di Risparmio di Rimini, fu dichiarato quello stesso anno di “eccezionale interesse” dal Ministero Beni Culturali e presentato nel 2012 alla biblioteca Gambalunga di Rimini. Ma so di tanti altri studiosi, pur illustri e benemeriti, la cui eredità libraria è invece andata dispersa e distrutta perché rifiutata dalle biblioteche pubbliche.
Colpa dello spazio che manca e che non si pensa nemmeno di ampliare, come invece si fa per le scuole, per gli ospedali, per gli stadi, per gli uffici eccetera. E della mancanza di autorevolezza di chi dovrebbe guidare gli istituti culturali, ormai quasi ovunque senza direttori, affidati ad assessori e a personale esterno o amministrativo più preoccupato di bilanci che d’altro: oltre allo spazio e agli operatori – dicono – mancano i soldi, e quei pochi che ci sono possono essere assai meglio impiegati in manifestazioni e sagre più o meno popolari che danno concreta visibilità a chi le promuove. D’altra parte ormai l’informazione culturale e anche la semplice “narrativa” possono usare mezzi diversi dal libro “di carta”, mezzi “immateriali” che dunque non occupano posto e che possono essere gestiti da chiunque per via telematica.
A questo punto non crediate che io sia preoccupato per la mia biblioteca, che pur è il frutto di molti anni di ricerche, di risparmi e di spese sottratte alla sempre precaria amministrazione familiare. Come ho detto più volte e da tempo, dai miei 5.000 (o forse 10.000: chi li ha mai contati?) volumi i parenti più stretti potranno scegliersi quelli che vorranno; il resto lo daranno ai rivenditori di libri vecchi, perché penso che in futuro ci sia ancora qualche anacronistico studioso-lettore che voglia utilizzarli: dalle bancarelle, del resto, ne provengono molti. E questa speranza non solo mi rasserena, ma, sinceramente, mi rallegra.

Pier Giorgio Pasini