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Dare un’anima alla Città

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La necessità di coniugare la missione con la testimonianza credibile e il dialogo rispettoso dell’altro è la riflessione che innerva i lavori della assemblea del 2003, Comunicare il vangelo in un mondo che cambia, e il contributo della Diocesi al Convegno di Verona del 2006, Testimoni di Gesù risorto speranza del mondo.

Il documento, dal titolo “Dare un’anima al turismo”, chiede alla comunità politica e alle istituzioni civili di assumere l’ambiente come risorsa da valorizzare, alle parrocchie di dar vita ad una autentica pastorale dell’ospitalità anche attraverso una liturgia capace di creare un clima di famiglia, con l’attenzione rivolta non solo agli ospiti in vacanza, ma anche alla qualità della vita di chi lavora nel turismo e alla domanda di integrazione posta dai sempre più numerosi immigrati.

Mons. De Nicolò, per primo, si mette in dialogo con le istituzioni, inaugurando la prassi dell’incontro con quanti hanno responsabilità pubbliche in occasione della festa di San Gaudenzo e di un’omelia rivolta alla città al termine della processione del Corpus Domini. In entrambi i contesti il punto di partenza è sempre quello concreto dei problemi reali che intrigano gli uomini e, in particolare, dei problemi della città, affrontati con l’atteggiamento positivo di chi è convinto che esista una possibilità di soluzione, se in aggiunta ai temi della verità e della libertà, si apre la porta anche a quello della carità, cioè della fraternità.

Poiché crede che le scelte politiche e amministrative, come quelle economiche e culturali, abbiano sempre una valenza etica in rapporto ai grandi valori dell’uomo, il vescovo non accetta la riduzione della missione della chiesa “all’ambito privato e quasi consolatorio, o alla mera azione caritativa, come supplenza di ciò che nessun altro ama fare” e nei 18 anni del suo episcopato continua con insistenza a chiedere ai credenti di prodigarsi, al di là degli schieramenti politici, per la costruzione del bene comune, senza escludere nessuno di coloro che dimorano nel territorio riminese, siano essi comunità di recupero o immigrati: “dobbiamo convertirci davanti allo spettacolo dei bisogni sociali da cui possono ancora separarci i nostri egoismi, che ci pone di fronte ai problemi più acuti della nostra città”.

Ma la buona volontà non basta. C’è bisogno di studio sia per maturare una fede adulta sia per intervenire nei problemi con responsabilità e professionalità. Sorretto da questa intuizione il vescovo potenzia le istituzioni diocesane come l’Istituto superiore di scienze religiose, incoraggia la nascita di centri culturali come il Paolo VI, collabora con le istituzioni civili per la nascita del Polo universitario di Rimini, provvede alla tutela e valorizzazione del patrimonio artistico disseminato nelle chiese della diocesi, avvia e completa i lavori di restauro del Tempio Malatestiano.

Da ultimo, in linea con il proposito di creare le condizioni di un dialogo costruttivo tra la Chiesa e la società civile, a conclusione del suo mandato (2007) trasferisce a San Fortunato, nel sito dell’Abbazia di Scolca, il Seminario, la Biblioteca, l’Archivio diocesani e l’Istituto superiore di scienze religiose, per creare un polo di eccellenza, che sia “a servizio dell’animazione culturale, della formazione teologica, della valorizzazione e del recupero del patrimonio religioso e artistico”. (22 – fine)

Cinzia Montevecchi