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Condividere l’ultima frontiera

La risposta cristiana al mistero della morte e della sofferenza non è una spiegazione, ma una presenza”. La lettura delle parole della dottoressa Cicely Saunders chiude la serata dedicata al tema “Ai confini della vita – camminare insieme a chi soffre”. L’iniziativa promossa dal Centro Culturale Paolo VI ai Musei Comunali di Rimini non è stata “la classica conferenza – osserva il dott.Antonio Polselli, responsabile del Centro Culturale e moderatore dell’incontro -. È stata una meditazione sull’assistenza alla sofferenza, prendendo spunto dalla lettura di alcuni brani del libro Vegliate con me: hospice, un’ispirazione per la cura della vita di Cicely Saunders, fondatrice delle cure palliative”.
Una riflessione arricchita dall’intervento del dott. Marco Maltoni, direttore della Struttura Complessa Cure Palliative di Forlì, e di don Vittorio Metalli, docente di Antropologia Teologica ed Escatologia all’Istituto Superiore di Scienze Religiose “A. Marvelli” di Rimini.

Accompagnare!
“Cicely Saunders ha iniziato come infermiera, è diventata poi assistente sociale e infine medico credente. Negli anni Sessanta utilizza particolari cure per un approccio globale al paziente, in particolare nelle fasi più critiche della malattia- evidenzia il dottor Maltoni -. Di fianco ad una persona che soffre, per Cicely, non può non esserci un’altra persona. L’operatore sanitario quindi si pone vicino al paziente nel modo più completo. L’Hospice stesso è un luogo accogliente dove la famiglia, con cui il personale sanitario coopera, può entrare e uscire in qualsiasi momento della giornata. L’attenzione alla persona si esprime così anche nella cura del dettaglio. Le cure palliative, che non sono una specialità per pochi, hanno sfatato l’immagine del medico «distante» perché esse implicano un rapporto personale e una conoscenza vera del paziente e della sua famiglia”.
La malattia, specialmente quella incurabile, mette alla prova la persona e la può cambiare.
“Non tutti i «tempi» hanno lo stesso valore – afferma don Metalli -. Il periodo della sofferenza ha un valore particolare e la degenza terminale può essere quel tempo privilegiato in cui Dio opera nelle persone una trasformazione radicale. L’individuo ha di fronte la sua vera natura, quella di creatura. Mentre la vita si va spegnendo, Dio invita a recuperare il senso profondo del nostro esistere e della relazione con l’Altro anche se solo per un’istante o per un solo pensiero”.
Accompagnare una persona verso il mistero della morte significa, come scrive la Saunders, “esserci”. “Il lavoro di èquipe negli Hospice è fondamentale come la valorizzazione di ogni singola professionalità - prosegue il dottor Maltoni -. Nella formazione del personale sanitario ci si aiuta nel rapporto fra medici, infermieri e famiglia, a cambiare l’obiettivo dell’intervento di cura che non è più la guarigione, ma l’accompagnamento. Le migliori cure palliative consentono di ridurre in gran parte molti sintomi, ma lo «strappo»della morte rimane e nessuno muore contento. Quindi di fronte al «limite» si cerca un rapporto, una condivisione, di fronte alla domanda «perché proprio a me?» che si esprime nei modi più diversi non c’è altra possibilità che condividere. Non c’è una risposta o una spiegazione, ma come dice Cicely, l’importante è «starci». La qualità della vita si evidenzia nel rapporto umano”.
“Così, nel suo significato evangelico, prende significato la parola «compatire» che non è semplicemente «mi fai pena» ma è «soffrire con»continua don Vittorio Metalli -. La fede cristiana non è statica, ma dinamica. Implica una relazione, un affidamento, un coinvolgimento delle persone”.
La fede è anche un «abbandonarsi», un’obbedienza fiduciosa come per il paziente, raccontato dalla Saunders, che era partito, nel suo percorso doloroso, da «non voglio morire» ed è arrivato a «voglio ciò che è giusto».

Francesco Perez