Come la solidarietà si… trasforma

    Da anni, Pongo se ne stava triste e polveroso in garage. Da quanto il suo padroncino era cresciuto e l’aveva tradito per una bicicletta. Eppure era ancora un triciclo di tutto rispetto: senza un filo di ruggine e di un bianco maculato come il celebre protagonista della Carica dei 101. Ora Pongo fa la gioia di un bimbetto tunisino di tre anni. Sua madre l’ha comprato per pochi euro al Campo Lavoro dove i volontari l’avevano scaricato insieme con macchinine, supereroi, bambole, peluche e giocattoli di ogni specie, recuperati svuotando soffitte e cantine. Quanto ben di Dio si nasconde inutilizzato nelle nostre case? Solo a Rimini, le scuole che hanno aderito all’iniziativa (tre materne e una elementare), hanno consegnato al Campo 600 sacchi stracolmi di indumenti e giocattoli. E sempre nel Campo di Rimini la bancarella dei bambini ha totalizzato 2.600 euro (il doppio dell’anno scorso) e all’incirca la stessa cosa è avvenuta a Bellaria e Riccione. Piccole e grandi cifre che non solo contribuiscono al risultato finale ma costituiscono una piccola testimonianza che un altro mondo è possibile: un mondo meno sprecone e consumista, capace di risparmiare risorse e di ridare nuova vita agli oggetti che normalmente buttiamo nella spazzatura. Vediamo come.
    Prendiamo gli indumenti usati, ad esempio: il contenuto principale dei sacchi raccolti casa per casa. Una volta caricati sui container, vengono venduti alla Tesmapri: una ditta specializzata di Prato con un ciclo produttivo eticamente certificato (niente sfruttamento minorile, niente lavoro nero, ecc.). La Tesmapri li trasporta in centri specializzati del Nord Africa dove gli indumenti vengono selezionati e smistati per le varie destinazioni (i panni leggeri restano in loco, quelli pesanti prendono la strada dell’est europeo, dove saranno venduti per pochi spiccioli nei mercatini dell’usato). Il prezzo pagato al Campo è di 150 euro a tonnellata. Considerando un quantitativo medio per sacco di 1 Kg, per 100mila sacchi distribuiti in tutta la Diocesi fanno 100 tonnellate raccolte, ovvero 15mila euro di incasso.
    Oppure prendiamo i metalli, pazientemente separati dai volontari del Campo perché i rottami non sono tutti uguali e il rame, per esempio, vale più del triplo dell’alluminio il quale, a sua volta, è pagato più del ferro. Dove finiscono questi materiali? Li compra la ditta Ottaviani di San Giovanni in Marignano per portarli in fonderia dove saranno fusi e trasformati in barre e laminati riutilizzabili per la costruzione di nuovi oggetti. Idem per il vetro. Smontando porte e finestre, ammassando bottiglie vuote di sangiovese, i volontari del Campo accumulano ogni anno tonnellate di materiale, anch’esso destinato alla fusione per rinascere sotto forma di nuove porte, nuove finestre, nuove bottiglie (magari di lambrusco).

    Alberto Coloccioni